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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2012 alle ore 14:17.

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In effetti, ripeto, si sta prestando a tutti questi fattori un'attenzione assolutamente inadeguata. E io ho posto, e ancora oggi intendo porre, questo problema in via prioritaria e di principio, cioè per quel che di per sé esso significa, prima di venire a considerazioni relative a temi di intervento legislativo e di finanza pubblica. Ma non eludo questi temi, e non esito a esprimermi con spirito critico anche nei confronti dei comportamenti dell'attuale governo nel suo complesso, pur conoscendo la sensibilità e l'impegno dei singoli ministri, e non perdendo di vista quel che l'Italia deve al governo del Presidente Mario Monti per un recupero incontestabile di credibilità e di ruolo in Europa e nel mondo.

Sappiamo – anche se qui non si tratta di fare i ragionieri, ma di ragionare politicamente: fare i ragionieri e ragionare sono due cose diverse – che è stato e resta necessario fare i conti con un livello di indebitamento pubblico raggiunto nel corso di decenni e con un grado di esposizione ai rischi del mercato dei titoli del debito sovrano nella Zona Euro, e quindi resta indispensabile perseguire obbiettivi rigorosi, in tempi stretti, concertati in sede europea, di riduzione della spesa pubblica e di contenimento della sua dinamica. Se non facciamo questo, a quale livello schizzeranno gli interessi dei nostri titoli pubblici? Quanto dovremo pagare? C'è anche tanta gente modesta che ha comprato buoni del tesoro: come facciamo a non rendere loro gli interessi che ci siamo impegnati a pagare e che rischiano di crescere? Oggi, dobbiamo pagare fino a 80 miliardi all'anno di interessi sul debito pubblico: che cosa potremmo fare anche solo con una piccola parte di questi 80 miliardi? Dobbiamo scrollarci dalle spalle questo peso insopportabile. E dobbiamo farlo perché altrimenti questi sono i casi e i modi in cui uno Stato può fallire, e non credo che possiamo giocare con questo rischio oggi e nel prossimo futuro, nel nostro Paese, chiunque governi e qualunque situazione politica e parlamentare esca dalle elezioni.

Però, io pongo una domanda, chiaramente molto problematica, anzi critica: ma è fatale che per riuscire in questo sforzo di risanamento della finanza pubblica si debba ancora procedere con tagli rilevanti a impegni di finanziamento in ogni settore di spesa, tagli più o meno uniformi o, come si dice – è diventato un termine abbastanza consueto – «lineari», senza tentare di far emergere una nuova scala di priorità nell'intervento pubblico, e quindi nella ripartizione delle risorse? Non credo, onestamente – pur avendo grande considerazione per chi deve far quadrare i conti pubblici: badate che non è uno scherzo per nessuno – che ciò sia fatale e che ci si debba arrendere a fuorvianti automatismi. La logica della spending review dovrebbe essere di ottenere risparmi di spesa, in qualsiasi settore, attraverso modifiche strutturali, modifiche di meccanismi generatori di spreco e distorsioni pesanti, e attraverso l'avvio di processi innovativi nella produzione di servizi pubblici e nella costruzione di programmi di intervento pubblico.

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