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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2014 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2014 alle ore 13:49.

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Sorridersi! Che verbo strano. Che cos'è, un riflessivo improprio? Molto improprio, direi. Il sorriso è per definizione un gesto che rivolgiamo a un altro.
Cioè, intendiamoci: possiamo benissimo ridere da soli, e anche sorridere, ci mancherebbe! Come parlar da soli. Ci passa per la testa una cosa comica, una scena, una frase che ci fa ridere, e ridiamo. Certo che può succedere.
Ma sorridersi per fare una foto mi pare un'altra cosa. Mi prende il cuore. Non va bene. C'è qualcosa che disturba. Che cosa?
Sorridiamo sempre quando ci fanno una foto, è vero. Ma sorridiamo, in fondo, a ben pensarci, a chi ci fa la foto. Non vediamo il suo occhio perché è coperto dalla macchina, ma sappiamo che c'è, è lì dietro, e ci sta guardando. Anzi, sappiamo che quell'occhio è lì per guardarci. Fotografare è guardare l'altro nel modo più spudorato. È esattamente questo. È lo sguardo che si copre per poter essere il più scoperto possibile, si nasconde per rivelarsi, o si rivela per nascondersi, fa uguale. Noi, i fotografati, sappiamo che l'altro ci guarda. E c'è un sottile piacere nell'essere guardati attraverso una macchina.
Infatti la nostra foto verrà più o meno bene a seconda di come ci rapporteremo al fotografo, e al piacere (o fastidio) di essere guardati da lui. Chi ci guarda condiziona la nostra espressione, il nostro viso, tutto. Se s'instaura un rapporto buono, il nostro viso darà il meglio di sé. Se no, darà il peggio. O rimarrà inerte, com'è è. E non importa se il fotografo è uno con cui abbiamo già un legame forte, o uno sconosciuto che abbiamo appena incontrato e che di lì a due ore sparirà dalla nostra vita. Non fa niente. Importa se scatta un legame, o non scatta. Il sorriso che facciamo in foto è il sorriso che facciamo a lui, amico o sconosciuto che sia.
Col selfie invece, è il sorriso che facciamo a noi stessi.
Narciso non l'avrebbe mai fatta una cosa simile. Noi sì.
Noi, i veri Narcisi.
Certo, è un sorriso che poi finirà a tutti quegli altri a cui spediremo la foto. Ma è mancato il tramite. È mancato l'altro. Ci sono solo i destinatari (che sono troppi). Ma non c'è l'occhio (che è unico). E senza l'occhio unico che ci guarda, noi restiamo soli.
Con un selfie, noi mandiamo agli altri la nostra solitudine.

* * *
Altri pianeti
Quando ci mettiamo vicino a un bambino, è possibile che di colpo lasciamo questo nostro pianeta, andiamo ad abitare nel suo e ci viene anche di metterci a parlare un'altra lingua: quella che parla lui. È un processo che avviene molto naturalmente. È proprio la naturalezza e immediatezza con cui avviene, che più mi sorprende.
Può capitare per esempio che una sera al ristorante, se siamo seduti vicino a un bambino, aspettando il secondo che non arriva mai, di colpo ci mettiamo il tappo della minerale su un occhio e diventiamo un pirata e cominciamo a parlare di mare e tempeste, assalti e isole del tesoro. Così, in modo del tutto naturale. Siamo semplicemente andati a finire su un altro pianeta, tutto qui. E parliamo quella lingua, che infatti il bambino comprende all'istante.

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