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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2014 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2014 alle ore 13:49.
Lo scrittore, nella personale idea che mi son fatta di lui, scrive proprio per non mostrarsi. Ama rimanere nascosto e nell'ombra, e quindi scrive. Questo è il suo desiderio più profondo, e quindi la sua missione: non farsi vedere, passare inosservato. Meglio ancora, diventare invisibile. Se così non fosse, non scriverebbe: farebbe altro. Invece scrive per avere una tana riparata. La scrittura è la sua tana, la sua galleria sottoterra, il cunicolo, la tenda, il ripostiglio segreto. Lì sta bene. Lì, non visto, può esistere.
Quando esce, invece, è abbagliato, confuso. S'impiglia, s'inciampa. Troppa luce. Confusione, rumore. Frenesia. Sgomitate, bugie, falsità, furbizie. Scorciatoie. Lui non c'entra. Lui è una talpa, vive e lavora nascosto. Una variante dell'albatro di Baudelaire? Può darsi, niente di originale.
Ecco quello che stride. Non si confà a uno scrittore essere una star.
L'attore invece sì, può, e deve essere una star. L'attore deve mostrarsi al suo pubblico, perché il suo lavoro è esattamente questo: mostrarsi in scena davanti a un pubblico, che poi lo applaude, lo vuole incontrare, lo venera. L'attore-talpa non avrebbe senso, è evidente! Per questo lui è naturalmente una star, deve proprio starci, sotto i riflettori.
Ma lo scrittore no. Le uniche stelle con cui uno scrittore può avere rapporti sono quelle con cui abitualmente parla. Anzi, meglio, le stelle che abitualmente parlano a lui.
C'è una poesia bellissima di Tagore, che non conoscevo. Me l'ha mandata giorni fa un medico che ama molto le poesie; lì si parla proprio di queste stelle che, secondo me, sono le uniche "giuste" per uno scrittore. S'intitola Il mondo del bambino, e comincia così: «Vorrei occupare un cantuccio tranquillo/ nel cuore del mondo del mio bambino./ So che ha stelle che gli parlano e un cielo/ che si china sul suo viso ad allietarlo/ con arcobaleni e nubi sciocchine».
Il mio amico medico ama le nubi sciocchine, e per amore di questa espressione mi ha mandato la poesia (che nel finale si fa ancora più misteriosa, leggetela!). E poi d'accordo, è vero, qui si parla di bambini, non di scrittori. Ma già Tolstoj lo diceva bene, che non c'è differenza. E a me è venuto da pensare che anche lo scrittore ha stelle che gli parlano.
Sono queste le sole stelle con cui deve avere a che fare. Gli bastano, non gli servono star.
* * *
La scelta e la pasta al pesto
L'altro giorno ero in una località balneare. Passavo al mercato e, davanti al banco della frutta, vedo passare due signori anziani che spingono un passeggino e tengono per mano un bambinetto sui quattro anni. Li guardo. Sono di sicuro i nonni. I classici nonni che d'estate "fanno i nonni", cioè tengono al mare i nipotini. Hanno l'aria sussiegosa e stanca. Il bambinetto invece ha l'aria furba e un po' annoiata, quell'aria da piccolo re consapevole del suo potere.
Acchiappo al volo un brandello di dialogo, la nonna che dice al nipotino:
«Dove preferisci andare oggi a pranzo, al ristorante o dall'Agnese che ci fa la pasta al pesto?
Agnese – bofonchia il bimbo, torvo, infastidito.
Ah bene, adesso la chiamo e le dico che tu preferisci andare da lei – conclude la nonna».
C'è qualcosa, in questo dialogo rubato, che mi rende profondamente triste. Ma non voglio fare lunghi discorsi. Mi viene solo in mente Aristotele, e una parola che mi piace molto ed è il cuore dell'azione morale: la parola scelta. La scelta c'entra con altre parole bellissime: virtù, responsabilità, saggezza. È, infatti, una difficile conquista dell'età adulta. Prima, e soprattutto da bambini, non solo non siamo in grado di operare nessuna scelta, ma abbiamo il diritto che un adulto lo faccia al posto nostro. I bambini non devono scegliere proprio niente, nemmeno se andare a pranzo dall'Agnese o al ristorante.
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Paginette è l'appuntamento della Domenica con Paola Mastrocola. Una volta al mese la scrittrice ci propone le sue riflessioni sparse sulla società, la scuola, la cultura