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Meglio Alexey German Jr. di Wim Wenders: delude «Every Thing Will…

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Berlino

Meglio Alexey German Jr. di Wim Wenders: delude «Every Thing Will Be Fine»

Il cinema tedesco continua a non convincere: i padroni di casa non stanno facendo una grande figura in questa edizione del Festival di Berlino e, dopo Werner Herzog e Andreas Dresen, anche Wim Wenders firma una pellicola ben al di sotto delle sue capacità.
Presentata fuori concorso, la nuova fatica del regista di «Paris, Texas» e «Alice nelle città» si intitolata «Every Thing Will Be Fine» e ha James Franco come protagonista.

L'attore interpreta uno scrittore, la cui vita verrà irrimediabilmente segnata da un tragico evento: durante una sera d'inverno, lungo una strada completamente innevata, ha investito accidentalmente un bob con sopra due ragazzini. Uno si è salvato, l'altro ha perso la vita.
È un film sul senso di colpa, «Every Thing Will Be Fine», che viene però superficializzato da una sceneggiatura fiacca e confusa: i dialoghi sono inconsistenti e i personaggi risultano scritti in maniera pressapochistica.

Wenders fatica a veicolare le emozioni che vorrebbe trasmettere e, attraverso una serie di discutibili scelte stilistiche (compreso un 3d del tutto inutile), finisce per dare troppo spazio a una colonna sonora (composta da Alexandre Desplat) invasiva e ricattatoria.
Gli attori svogliati e il debolissimo finale completano il disastro.

Di ben altra caratura è «Under the Electric Clouds» di Alexey German Jr., inserito in concorso.

Più che una storia, il regista russo ha scelto di raccontare una serie di personaggi che attraversano un paesaggio surreale, dove il passato (una gigantesca statua di Lenin) e il futuro (grattacieli futuristici) si incontrano in un dialogo dai toni apocalittici.
Diviso in sette capitoli, il film mostra una visione pessimistica dell'odierna situazione russa: si alternano spazi e tempi, ma la conclusione è sempre la perdita di ogni speranza. Una crisi economica, sociale e morale, che non riesce ad avere fine.
German Jr. descrive il caos del suo paese natale attraverso una messinscena dalla forte portata simbolica e filosofica, contrassegnata da riprese lunghe e da una potente costruzione delle inquadrature.

Alcuni passaggi sono fin troppo ostici e intellettualoidi, ma al termine della visione sono diverse le suggestioni che rimangono impresse e così i messaggi, tutt'altro che banali.
Il regista, già vincitore di un Leone d'argento a Venezia con «Paper Soldier», dimostra ancora una volta di avere un notevole talento, ereditato dal padre: il grande Alexey German, uno dei maestri della storia del cinema dell'Est Europa, scomparso nel 2013, pochi mesi prima di presentare al mondo il suo ultimo capolavoro, «Hard to Be a God».

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