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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2012 alle ore 07:01.

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Hanno costruito le strutture in Italia, per portare al paese l'energia, motore imprescindibile di ogni sviluppo. Hanno imparato a fare i tubi per il gas, a metterli sottoterra per migliaia di chilometri, spesso nel fondo dei mari, costruendo una rete che non ha uguali al mondo, quella che ora fa gola a molti investitori dopo la separazione di Snam da Eni. Hanno fatto i pozzi che portavano il primo gas alle industrie di Milano assetate di energia, che ripartivano dopo il disastro della guerra. Hanno costruito le raffinerie di petrolio, per fare la benzina delle auto del miracolo italiano. Sono le centinaia di aziende legate al mondo dell'estrazione del gas e del petrolio, guidate da alcuni grandi gruppi, Eni, Saipem, Techint, che hanno trascinato decine di altre più piccole, fatte spesso da dipendenti, a volte operai, usciti da quelle più grandi.

In Italia lo scenario è recessivo. Da una parte i consumi di energia sono quelli di un paese malato di bassa crescita, quest'anno purtroppo di decrescita, con volumi fermi sui 180 milioni tonnellate equivalenti petrolio e con una spesa dell'ordine di 175 miliardi di euro, l'11% del Pil. Dall'altra, la diffusa ostilità verso tutte le infrastrutture energetiche, anche quelle per le fonti rinnovabili. Con il paradosso poi che siamo il paese in Europa con più macchine che usano benzina e gasolio, e il paese che usa più gas importato nella produzione elettrica.

Se oggi dovessimo applicare la stessa cultura ostile a quanto realizzato nei precedenti 50 anni (che blocca infrastrutture indispensabili con veti locali), di fatto rimarremmo al buio e soffriremmo un gran freddo. Nel resto del mondo, per fortuna delle nostre imprese, le cose vanno diversamente. I consumi di petrolio e gas sono in aumento e l'estrazione dal sottosuolo, all'interno di vincoli ambientali sempre più stringenti, continua a crescere. Nei prossimi 25 anni nel mondo si stimano investimenti per ben 38 mila miliardi di dollari, circa 29 mila miliardi di euro. Molto del petrolio e del gas che è impiegato in Italia viene prodotto molto lontano, da strutture, pozzi o piattaforme fatte anche con la collaborazione delle imprese italiane.

Nel Caspio c'è il più grande e complesso giacimento in sviluppo al mondo, quello di Kashagan, da dove verrà prodotto a regime quasi un milione di barili di petrolio al giorno. Sono presenti decine di aziende italiane che hanno portato le strutture di metallo dalle loro fabbriche sulle nostre coste attraverso il Mediterraneo e il Mar Nero e su per il Don per poi scendere per il Volga nel Caspio.

Il futuro energetico dell'Europa sarà sempre più segnato dalle importazioni di gas dalla Russia, già oggi il principale nostro fornitore (nei giorni passati è stato registrato un calo dei flussi provenienti da quest'area verso diversi Paesi europei) e lo Stato che ha le riserve più alte, un quarto del totale del mondo. La più grande struttura energetica realizzata in Europa negli ultimi 30 anni è il gasdotto Nord Stream, completato lo scorso autunno, che porterà 55 miliardi di metri cubi di gas all'anno dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico, aggirando l'Ucraina. La realizzazione dell'opera è stata affidata a imprese italiane della posa tubi in mare e su terra, con l'aiuto di imprese locali tedesche, ma guidate da quelle italiane. Di gas nel mondo se ne trova sempre di più, grazie alle nuove tecnologie che rendono accessibile quello disperso nelle rocce e non concentrato in trappole geologiche, come nei giacimenti tradizionali, molto facili da sfruttare, quando scoperti. Le nuove tecnologie applicate alla produzione di questi gas non convenzionale sono studiate e sviluppate anche in Italia. Gli impianti di perforazione, facili da spostare, più leggeri, sono prodotti anche al Sud, a Crotone.

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