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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2012 alle ore 07:01.

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Un tesoro sotto forma di petrolio e gas giace qui da noi, non sfruttato, in terra e sotto il fondo del mare. Domanda: è ancora tollerabile gestire l'economia in crisi di un Paese che ormai dipende dall'estero per tutte o quasi le sue fonti energetiche senza guardare a quel che abbiamo? La risposta, scontata, se l'era data il governo Monti nelle bozze dell'ultimo decreto sviluppo. Che prometteva di riattivare e potenziare tutte le esplorazioni nazionali di idrocarburi. Promessa cassata, ancora una volta. Troppe le opposizioni, troppe le barricate. Perfino quelle del ministro dell'Ambiente in carica, Corrado Clini.

Un peccato, dicono gli analisti. Anche perché quel che abbiamo a disposizione e di più, molto di più, di ciò che si credeva. A fronte di un'attività che rischiamo di dover misurare con il contagocce.

Significativo l'altolà viene dall'Eni nell'aggiornamento delle stime sulle potenzialità petrolifere italiane e dello scenario di riferimento: in 12 anni abbiamo quasi dimezzato le nostre estrazioni di olio e gas passando da 23 a 12 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, a fronte di riserve accertate e potenziali che invece risultano essere le più alte d'Europa.

Si estrae (non pochissimo) in Basilicata. E in giro per l'Italia le trivelle continuano a tirar su quel che si può. Ma le nuove prospezioni, che dovrebbero creare nuove occasioni ma intanto devono rimpiazzare i giacimenti che pian piano si asciugano, sono sostanzialmente ferme. Nonostante gli investimenti proposti o addirittura programmati dalle società petrolifere: almeno 7 miliardi, ci dice l'Eni aggiornando la cifra di circa 5,5 miliardi tracciata solo pochi mesi fa dagli esperti di Assomineraria. Un vero peccato, perché il complesso delle attività proposte dall'industria di settore dopo aver comunque praticato una scrematura preventiva per filtrare tutti i progetti con le rigorose regole ambientali e paesaggistiche italiane potrebbero mettere in campo, subito, non meno di 34mila posti di lavoro alimentando un'attività economica aggiuntiva che porterebbe – sempre secondo le valutazioni dell'Eni e di Assomineraria – un beneficio fiscale per lo Stato è quindi per la comunità valutabile tra 800 milioni e un miliardo di euro.

E sì che il potenziale delle riserve di idrocarburi ci assegna una posizione di primo piano. Abbiamo almeno 600 milioni di barili di riserve di petrolio già accertate. Quanto la Romania, più dell'Ucraina, dell'Olanda, della Germania. E anche nel gas non siamo messi male, con almeno 66 miliardi di metri cubi già intercettati, che aspettano solo di essere usati.

Ma la vera sorpresa riguarda le riserve potenziali (quelle stimate con algoritmi che ormai si rivelano piuttosto precisi della loro attendibilità). Per il metano si parla di almeno 160 miliardi di metri cubi, che potrebbero teoricamente assicurare all'Italia due anni di consumi metaniferi a manetta senza importare dall'estero una sola molecola. In attesa naturalmente di fare ulteriori scoperte. Ancora di più promette il petrolio, con un miliardo di barili da individuare rapidamente.

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TAG: Eni, Italia

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