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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2012 alle ore 07:01.

Enrico Rossi e Matteo Renzi (Olycom)Enrico Rossi e Matteo Renzi (Olycom)

Anche nelle (rare) occasioni pubbliche in cui si trovano gomito a gomito, Enrico Rossi e Matteo Renzi – i due politici toscani del centrosinistra che cullano il sogno, più o meno esplicito, di conquistare la leadership nazionale del partito – marcano quella distanza che li fa apparire diversi e antitetici.

Non solo per l'approccio – il presidente della Regione Toscana, 53 anni, sinistra di stampo "classico", preferisce la serietà d'esposizione e d'argomento; il sindaco di Firenze, 37 anni, cattolico-centrista, molto concede alla battuta e alla frase a effetto, condita da grinta e proclami – ma anche per il modo di vedere l'economia e di rimuovere gli ostacoli territoriali che ne frenano lo sviluppo. Ricette lontane, che si riflettono in un rapporto assai diverso col sindacato: rispetto e (spesso) condivisione per Rossi, insofferenza e contrapposizione per Renzi, come ben si è visto nel caso dell'Ataf, la società pubblica dei bus che il sindaco di Firenze ha deciso, contro tutto e tutti, di mettere sul mercato.

Proprio il trasporto pubblico, del resto, è uno dei terreni di scontro culturale, prima ancora che operativo, tra i due leader: Rossi lo vede come un servizio che, pur nella scarsità di risorse (conseguenza dei tagli governativi), può/deve ancora essere gestito dalle aziende pubbliche, e sta confezionando una gara per affidare le linee bus dell'intera regione a un unico operatore, spalancando la porta all'aggregazione tra quelli storicamente presenti; Renzi ritiene che, in questo scenario, l'unico modo per salvare il trasporto pubblico sia affidarlo ai privati, gli unici in grado di assicurare più efficienza e flessibilità, e per questo ha messo in vendita l'Ataf.

La diversa visione strategica tra i due si è manifestata anche sulle aperture dei negozi, con Rossi pronto a fare ricorso alla Corte Costituzionale contro il provvedimento del governo Monti che liberalizza orari e giorni di apertura («È solo un regalo alla grande distribuzione e una batosta per le piccole imprese – sostiene il presidente della Regione – un minimo di regole è utile anche alla concorrenza»); e Renzi precursore del "tutto aperto" al punto da permettere già da due anni l'apertura dei negozi in centro storico il 1° maggio («Migliaia di persone che arrivano a Firenze non possono trovare la città chiusa», sostiene il sindaco), che ha provocato lo sciopero dei sindacati e le ire della leader Cgil Susanna Camusso.

Anche sul fronte degli investimenti (come e dove farli), essenziali in questa fase per rilanciare l'economia, i suoni tra i due non sono certo accordati. Basta vedere lo scontro in atto sullo sviluppo dell'aeroporto di Firenze, che Rossi vorrebbe affidato a una nuova pista di volo obliqua rispetto all'autostrada A11, in grado di essere "digerita" dai sindaci della Piana fiorentina e anche dall'alleato Idv, mentre Renzi - che da tempo ha estromesso l'Idv dalla Giunta – parteggia per una pista "parallela" (in realtà con orientamento 12-30, inclinata rispetto all'autostrada di circa 14 gradi), l'unica che la società di gestione dello scalo Adf si dice disposta a realizzare investendo 100 milioni. In tema di infrastrutture, del resto, i due si erano già scontrati duramente sulla location della futura stazione fiorentina dell'Alta velocità, partita vinta da Rossi nell'agosto scorso con la firma definitiva apposta con Ferrovie sotto all'indicazione dell'area degli ex Macelli.

La diversità di vedute coinvolge pure i settori economici da "cullare" per sollecitare gli investimenti aziendali: il manifatturiero prima di tutto per il presidente regionale, consapevole che l'export è l'unica locomotiva di questa fase difficile, e che per alimentarlo bisogna ridare slancio alla produzione di beni, fortemente ridimensionata negli ultimi anni; terziario e direzionale per Renzi, che affida al vicesindaco Dario Nardella la strategia espansiva: «Firenze non ha più spazi per l'insediamento di fabbriche, che deve avvenire nell'area metropolitana. La nostra azione invece sta puntando sull'attrazione dei quartier generali delle grandi aziende, sul terziario avanzato e sulle tecnologie applicate ai beni culturali». È così che il Comune di Firenze rivendica l'attrazione dell'Hard Rock Cafè in piazza della Repubblica (150 posti di lavoro) e del museo Gucci in piazza della Signoria, l'arrivo imminente del tempio enogastronomico Eataly a due passi dal Duomo, ma anche la nascita di un piccolo parco tecnologico nell'ex carcere delle Murate. Mentre la Regione ribatte con la lista di investimenti sbloccati grazie all'intervento del presidente Rossi, dall'Ikea di Pisa alla Laika di Tavarnelle Val di Pesa al Nuovo Pignone a Carrara, dal centro ricerca sui motori diesel della giapponese Yanmar a Firenze al nuovo centro di ricerca mondiale sulle tecnologie per le energie rinnovabili di Power One a Terranuova Bracciolini (Arezzo).

Lo sfondo di sensibilità e storie politiche diverse – uomo d'apparato Rossi, ex Ppi-Margherita con predilezione da solista Renzi – unito alle ambizioni personali, ha prodotto un approccio imprevisto di entrambi anche al nuovo governo Monti. Rossi si è distinto a sorpresa dal Pd per le critiche nei confronti del governo dei tecnici: «O la sinistra ritrova la sua identità o sarà fagocitata dalla svolta tecnocratica. Monti rappresenta una politica economica di destra». Renzi invece considera il governo Monti «frutto di un'emergenza, di una visione molto saggia del presidente della Repubblica» e arriva a dire che il nuovo esecutivo è il certificato di rottamazione «per quei politici che non sono stati capaci di fare le cose che potevano fare». Lo scenario è assai cambiato rispetto all'era Berlusconi, e ora il sindaco-rottamatore non sembra più avere tanta fretta di guardare a Roma: «Continuerò a fare il sindaco, per la leadership del centrosinistra c'è tempo». Esattamente l'opposto di quel che lascia intravedere Rossi, of course.

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