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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2012 alle ore 07:00.

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Investi un dollaro (o un euro) in Ict ‐ informatica, telecomunicazioni, software... ‐ e quel dollaro ti ritorna raddoppiato, in termini di crescita più rapida del Pil. Un risultato da anni acquisito negli studi economici. Il dipartimento del Commercio Usa ha stimato che nel periodo 2004-2007 la crescita dell'economia Usa (in media il 2,8% annuo) è stata spiegata per il 42% dal fattore Ict. Ovvero la diffusione della rete a banda larga, la galassia digitale dei suoi servizi, l'e-commerce diffuso, e-government, social networks, lavoro flessibile a distanza e chi più ne ha più ne metta, ha messo il turbo a tutto il sistema. A livello mondiale l'Ict vale il 7,1% del Pil complessivo (l'industria dell'auto si ferma al 2,5%). Un volume calcolato nel 2010 a 3.113 miliardi di dollari.

Perché l'Ict moltiplica la crescita? «Semplice. Perché aumenta la produttività globale di un Paese, ma anche di una città, di un'azienda o di un singolo cittadino ‐ spiega Giancarlo Capitani, amministratore delegato di Net Consulting e docente al Politecnico di Milano ‐ ed è la crescita della produttività, specie in economie come le nostre in prevalenza centrate sui servizi, che genera efficienza, minori costi, nuove attività. Pensiamo a una piccola azienda che allarga i suoi mercati con l'e-commerce, o a un gruppo di giovani che crea un'App, un servizio innovativo, e insieme una nuova impresa. L'economia digitale, espandendosi, accelera così il Pil».

L'Italia, quantomeno negli ultimi vent'anni, sembra però aver mancato questo trend. Gli analisti di Net Consulting (autori dell'annuale rapporto Assinform sullo stato dell'informatica in Italia) sono ormai affezionati a un quadrante che tengono anno dopo anno aggiornato. Sull'asse verticale il tasso medio annuo di crescita della produttività globale. E su quello orizzontale quello del mercato dell'informatica. E l'Italia è sempre e comunque relegata sull'angolino in fondo di sinistra, a -1% di produttività e a -1,2% di crescita del mercato, quantomeno per il periodo 2005-2010. Per confronto Usa ma anche Regno Unito, Germania e persino Spagna viaggiano a tassi positivi, doppi o tripli per ambedue le variabili rispetto al Bel Paese.

«In Italia abbiamo un gap che perdura da anni ‐ rileva Capitani ‐, le piccole e medie imprese investono poco in Ict perché non ne afferrano l'utilità. L'e-commerce è risibile, solo il 6% delle vendite. L'e-government, anche se copre secondo l'Unione europea il 100% dei servizi, viene usato al 38 per cento. La rete a banda larga è ampiamente incompleta, e c'è tuttora un forte digital divide. E infine si sconta un problema culturale diffuso, di scarsa dimestichezza all'uso di queste tecnologie».

Eppure tornare a crescere, anche attraverso la leva Ict, è possibile. «L'agenda digitale che il Governo ha annunciato, e che dovrebbe tradursi in decreto in un mese e mezzo, va nella giusta direzione. Ma a mio avviso ‐ osserva Capitani ‐ va spostata dove davvero può dare risultati, ovvero su base locale. Certo, la spinta sul completamento della rete a banda larga è una questione nazionale. Ma quello che risveglierà i comportamenti produttivi diffusi saranno le smart cities, le smart communities ancorate ai territori. Progetti capaci di coinvolgere le piccole e medie imprese, gli studenti, gli anziani. Se hai un sistema di teleassistenza diffuso, o di educazione online, o di commercio elettronico effettivamente conveniente allora i comportamenti cambiano. E la produttività sociale aumenta. Questa infatti non è un dato asettico e automatico: più computer o smartphone metto e più si cresce. No. La produttività sociale cresce quando decolla l'uso reale delle tecnologie, migliorando la vita di tutti».

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