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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2012 alle ore 07:02.

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Voglia di sicurezza, ma non troppo. Il porto sicuro o, se si vuole, la voglia di uscire dal rischio per potreggere il patrimonio. È questo, in generale, il must delle strategie d'investimento della famiglia italiana. Soprattutto dalla seconda metà del 2011 in poi.
Un trend confermato, indirettamente, dagli ultimi numeri di gennaio 2012 relativi all'industria del risparmio gestito. Nei fondi comuni, infatti, a fronte di un esodo più contenuto dai prodotti obbligazionari e dai flessibili, il risultato degli azionari è ancora peggiorato.

Evidentemente, il buon andamento dei listini non è stato sufficiente a riavvicinare gli investitori alle gestioni che puntano sulla Borsa. E tuttavia, i numeri di Assogestioni raccontano solo una parte della storia. La narrazione, a ben vedere, è più complessa. Nel classico spirito italiota, infatti, la voglia di rischiare rimane: il signor Rossi un pizzico di sale all'investimento non rinuncia a metterlo. Anche nei momenti più difficili. La prova? Arriva dai conti finanziari delle famiglie pubblicati dalla Banca d'Italia. Ebbene, spulciando tra i numeri più recenti (al 30 settembre 2011) salta fuori che, nel terzo trimestre, il portafoglio degli italiani ha visto il controvalore delle azioni (e altre partecipazioni) salire di 3,5 miliardi di euro. Cioè: nel periodo in cui i listini mondiali sono finiti con le gambe per aria, il signor Rossi ha comprato titoli azionari.

Forse è stata la convinzione di saperne sempre più di tutti. Oppure, la speranza - illusoria - di entrare sui minimi e poter incassare la plusvalenza del successivo rimbalzo. Sia quel che sia, alla fine la voglia di Borsa c'è stata. Certo, il flusso non è sufficiente a controbilanciare il saldo negativo della prima metà del 2011. Dal primo gennaio al 30 giugno, infatti, la riduzione del peso sull'equity è stata ben maggiore: il calo ha raggiunto quota 6,32 miliardi. E tuttavia, il numero è l'indizio di quel pizzico di rischio voluto dal signor Rossi. Anche perché, sempre nel terzo trimestre, altri aspetti sembrano provare questo 'instinto'. In primis si può ricordare che la propensione al risparmio, proprio in estate, è - seppur di poco - scesa all'11,9 per cento.

Cioè, in una situazione di difficoltà c'è chi ha comunque cercato il rendimento, affrontando maggiori pericoli. Inoltre, è interessante il confronto tra i titoli emessi dalla pubblica amministrazione centrale. In particolare tra i bond a breve termine e quelli con durate maggiori. Ebbene rispetto ai primi, che in teoria dovrebbero avere un rischio minore, il trend è stato univoco: c'è stato un deflusso di 1,3 miliardi. Sui secondi, invece, l'andamento è risultato contrastato: da un lato, i CcT hanno visto ridurre il loro peso nel salvadanaio degli italiani; dall'altro, quello delle emissioni della pubblica amministrazione centrale (essenzialmente i BTp), è salito di 9,52 miliardi. Evidentemente, nonostante il balzo dello spread avesse già segnalato il pericolo, il signor Rossi non ha ripudiato i titoli italiani con duration lunghe: si è ingolosito con i loro maggiori rendimenti.

Certo, può obiettarsi che la grande paura sul debito tricolore è arrivata dopo, a novembre. Inoltre, i dati di un singolo trimestre non possono costituire un trend. Infine, il confronto di numeri 'spot' non rappresenta il giusto supporto per individuare le strategie d'investimento. Tuttavia, all'interno di uno scenario che vede il signor Rossi focalizzato sul 'fly to quality', sulla diversificazione del rischio e la difesa del patrimonio (come mostrato dall'incremento dei depositi presso istituzioni finanziarie), non può negarsi che l'appetito al rischio sia comunque rimasto.
«È un fenomeno non raro ‐ conferma Maila Bozzetto, esperta indipendente di Imad2 ‐. Molti nostri clienti, soprattuto con patrimoni medio piccoli, ci chiedono l'extra-rendimento.

Non in ottica però di difesa, per esempio, del potere d'acquisto del proprio capitale. Bensì, di scommessa per guadagnare di più». Un'interpretazione negativa. «Certamente sì» commenta. «Purtroppo, resiste l'idea che la Borsa sia un po' come un gioco. Una lotteria. Il che, ovviamente, non è. L'unica strada è quella di spingere sull'educazione finanziaria e far capire che, diversamente, la possibile minusvalenza è dietro langolo».
Anche perché, negli ultimi mesi, la fiducia sui debiti periferici di Eurolandia è tornata. E, giocoforza, la cautela e l'attenzione sono diminuiti. «Nel momenti della crisi acuta ‐ riprende la Bozzetto ‐ l'investitore medio chiedeva soprattutto la diversificazione geografica: cioè, acquistare asset non denominati in euro». Adesso questo pressing è diminuito. Ciò non toglie, però, che il mercato resti volatile e difficile da interpretare: il risparmiatore fai-da-te, se non è un vero esperto, rischia di lasciarci le 'penne'.

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