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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2012 alle ore 07:00.

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«Guardi che nessuno regala niente, per lavorare devo fare almeno due fiere estere al mese». Paolo Galletti produce miscelatori per calcestruzzo e vista la crisi dell'edilizia in Italia, «alla canna del gas», ha dovuto dare una svolta alla strategia aziendale. «Fino a cinque anni fa – spiega – vendevo il 20% all'estero, oggi il 20% lo vendo in Italia».

L'azienda, Officine Meccaniche Galletti, è tra le più internazionalizzate della regione e i risultati sembrano confermare la bontà della scelta: ricavi 2011 in crescita del 6% a 16 milioni, 35 per l'intero gruppo, primi due mesi del 2012 a +17 per cento. Come risultato della crescita, dal prossimo mese l'azienda lavorerà su tre turni giornalieri nel reparto macchine utensili e si appresta ad assumere una decina di tecnici specializzati, in parte carpentieri. «Ammesso che li trovi – spiega Galletti – perché qui la meccanica non è un mercato vasto e non sono molti i giovani a voler fare questo mestiere».
Per l'Umbria, tuttavia, Galletti è più l'eccezione che non la regola. Il grado di apertura internazionale del territorio è di molto inferiore alla media nazionale e ben nove regioni, stima Intesa SanPaolo, riescono a fare meglio nel rapporto tra export e valore aggiunto.

Le difficoltà della chimica e dell'acciaio e il momento migliore della meccanica creano inoltre in regione una sorta di spaccatura: più prospera la situazione a Perugia, in difficoltà Terni. In quest'ultima provincia nel 2011 il saldo di nati-mortalità è negativo per le imprese e in profondo rosso per le aziende artigiane, mentre a Perugia i risultati in entrambi i casi sono migliori e più vicini alle medie nazionali. Anche sul fronte dell'export la spaccatura regionale è evidente: Perugia realizza 2,1 miliardi di vendite oltreconfine, in crescita del 17,5% rispetto al 2010, Terni si ferma a 1,4 miliardi, con un aumento limitato all'8%, inferiore alla media nazionale.

La maggiore esposizione al mercato interno, in particolare per il settore dell'edilizia, porta l'Umbria vicina ai vertici nazionali del tasso di insolvenza, con 21,1 fallimenti ogni 10mila imprese, superata solo da altre cinque regioni.
Altra testimonianza della debolezza del potere d'acquisto interno è nelle immatricolazioni d'auto:giù del 17,5% nel 2011, a fronte di un -10,6% per la media nazionale. E come spesso accade quando manca lo stimolo costante della concorrenza estera, anche il tasso di innovazione non è tra i più brillanti: in Italia vi sono 7,8 brevetti ogni 10mila imprese, in Umbria meno della metà.

Gli ultimi sondaggi congiunturali realizzati da Confindustria Umbria vedono in media uno scenario di sostanziale stabilità, con la meccanica a cedere lo 0,5% nella produzione industriale e altri settori come alimentare, carta e lavorazione di minerali non metalliferi a guadagnare tra lo 0,5 e lo 0,7% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Anche in Umbria è evidente il gap dimensionale, con le aziende inferiori ai 20 addetti che cedono lo 0,6% in termini di produzione mentre quelle con oltre 20 addetti crescono dello 0,6 per cento.

Anche se le aziende hanno in media dimensioni ridotte, quando riescono a organizzarsi i risultati sono positivi. Un esempio vincente è il cluster dell'aerospazio, forte di una trentina di aziende e 500 milioni di ricavi, per quasi la metà esportati. Cerchiamo il presidente del polo, Renato Cesca, ci risponde da Seattle. «Siamo qui negli Stati Uniti per incontrare Boeing, Rolls Royce, Bombardier e altri colossi del settore. È la prima volta che il polo partecipa a manifestazioni fuori dall'Europa e devo dire che gli scenari che si delineano per il settore sono positivi. Le nostre aziende, una trentina sul territorio, stanno vivendo un momento mediamente positivo, di crescita dei ricavi e anche dell'occupazione. Il settore è ripartito e mettendoci insieme siamo stati in grado di acquisire importanti commesse che difficilmente avremmo ottenuto presentandoci singolarmente».

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