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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2014 alle ore 14:21.

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Malgrado tali considerazioni, però, il dibattito su questi temi resta aperto. Ora non è più tanto una questione di principio, bensì semplicemente un fatto di soldi, in particolare quelli dei contributi elettorali, ma anche quelli che girano tra Washington e Wall Street, così come i vasti interessi pro-megabanche che riversano milioni di dollari in think-tank e altre organizzazioni ancora più nebulose.

Il documentario , vincitore di un premio Oscar, ha urtato alcune sensibilità e portato alla luce i rapporti con l'industria dei servizi finanziari di un crescente numero di persone, tra cui alcuni accademici. Permangono, tuttavia, profondi legami monetari tra le grandi banche e coloro che fingono di essere analisti indipendenti e offrono consulenze in qualità di esperti. Alcuni funzionari governativi sono completamente "catturati" da questi personaggi.

Ma una buona notizia c'è: tra i funzionari, ora ve ne sono molti contrari a questo sistema e decisi a contrastare la minaccia dell'industria dei servizi finanziari. Professionisti indipendenti e qualificati riescono ad avere sempre maggiore influenza, soprattutto quando lavorano a stretto contatto con funzionari favorevoli alle riforme.

Le ultime indicazioni fornite dal consiglio dei governatori della Federal Reserve americana, un tassello fondamentale di questo puzzle, sono incoraggianti. Ad esempio, nuove norme per le banche straniere operanti negli Stati Uniti prevedono che esse si finanzino con un patrimonio netto pari a quello delle banche statunitensi. Tuttavia, alla vigilia di una nuova campagna presidenziale, la battaglia su questo importante settore è lungi dall'essere conclusa.

Con l'eccezione del Regno Unito, negli ultimi decenni la visione estrema del libero mercato ha avuto meno presa in Europa che negli Stati Uniti; tuttavia, l'attuazione delle riforme finanziarie nell'eurozona è, di fatto, più difficile. I governi considerano le banche nazionali come importanti acquirenti di debito sovrano mentre, dal canto loro, le banche sostengono che una regolamentazione più efficace limiterebbe il credito e rallenterebbe la ripresa economica.

Pertanto, le autorità di Germania e Francia (così come del Giappone) sono sempre state contrarie all'aumento dei requisiti patrimoniali, nonostante l'opinione diffusa che esso rappresenti un intervento essenziale per un'efficace ri-regolamentazione. La loro opposizione ha minato gli sforzi internazionali per creare un sistema più resiliente e probabilmente ostacolerà il tentativo di ridare solidità all'economia europea.

In altre parole, gli Stati europei più importanti sono in balia degli interessi finanziari proprio come lo è sempre stato lo Stato americano. E ora le grandi banche americane vogliono sfruttare la lentezza del cambiamento in Europa per porre un freno alla politica Usa (ad esempio, attraverso i in corso tra l' Unione europea e gli Stati Uniti). Se, dunque, intendono sfuggire alle conseguenze di una cattura del governo da parte delle grandi banche di Wall Street, gli Stati Uniti non possono aspettare che l'Europa si metta al passo sulla regolamentazione, compresi i requisiti patrimoniali.

Traduzione di Federica Frasca

Simon Johnson è docente presso la Sloan School of Management del MIT e co-autore del libro intitolato White House Burning: The Founding Fathers, Our National Debt, And Why It Matters To You.

Copyright: Project Syndicate, 2014.

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