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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2014 alle ore 14:17.


PARIGI – I delle elezioni del Parlamento europeo lo scorso week end sono sorprendenti e allo stesso tempo scioccanti. Non esiste, infatti, alcuna teoria in grado di giustificare la varietà dei risultati a livello nazionale.

In Germania, dove le politiche dell’Unione europea sono state oggetto di forti controversie sin dal 2008, la campagna elettorale è stata particolarmente piatta, mentre in Francia, dove né gli aiuti finanziari né le iniziative della Banca Centrale Europea mirate a contrastare la crisi hanno comportato un forte disaccordo, le tematiche anti-europee hanno invece avuto il predominio.

Né le variabili economiche, come il PIL, né le variabili sociali, come la disoccupazione, sono in grado di spiegare perchè l’Italia ha votato in massa per il Primo Ministro Matteo Renzi del Partito Democratico di centro-sinistra, mentre la Francia ha dato il maggior sostegno al partito di estrema destra di Marine Le Pen, il Fronte Nazionale.

Per quanto riguarda i paesi con un surplus, gli euroscettici hanno avuto un risultato importante in Austria, ma debole in Germania. Nei paesi in crisi invece, la Grecia ha dato fiducia alla coalizione di estrema sinistra Syriza guidata da Alexis Tsipras, mentre i partiti che hanno dominato fino a qualche tempo fa, la Nuova Democrazia e Pasok, hanno ottenuto collettivamente . In Portogallo, per contro, il predominio dei partiti tradizionali non è stato invece compromesso.

Più si analizzano i numeri e più diventano sorprendenti. Lo storico Harold James è quello di una destra nazionalista molto forte nei due paesi dell’UE con un retaggio imperialista, ovvero la Francia ed il Regno Unito. Forse è effettivamente così, ma perchè allora anche in Danimarca

Anche se negli ultimi anni il dibattito politico sull’Europa è diventato sempre più importante un po’ ovunque, la verità è che gli europei non parlano delle stesse cose, e questo è un serio problema per i leader europei. Il terremoto elettorale è stato infatti abbastanza consistente da farli sentire obbligati a rispondere allo scontento politico ed economico dei cittadini, ma ciò non toglie che continuino a non essere in grado di rispondere.

Sul fronte economico, le prime discussioni post-elettorali indicano che c’è concordanza sulla necessità di incoraggiare la crescita e l’occupazione, cosa senz’altro vera. La recente prestazione europea sulla crescita è stata desolante, in particolar modo rispetto agli Stati Uniti che hanno subito gli stessi shock sei anni fa, ma hanno poi registrato una ripresa ben più forte nell’ambito della produzione e dell’occupazione. Una parte della responsabilità di questo risultato è proprio dell’UE; il fatto di non aver riassettato i bilanci bancari prima della consolidazione fiscale è stato infatti un errore collettivo.

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