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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2014 alle ore 14:17.

E’ tuttavia altrettanto importante che i leader europei evitino di fare promesse che non sono in grado di mantenere. L’Europa ha infatti una lunga tradizione di iniziative di crescita importanti che si sono sempre rivelate deludenti.
Qualche miliardo qua e là non fanno, ad esempio, la differenza in un’economia di 13 trilioni di euro (ovvero 17,7 trilioni di dollari), così come un altro appello da parte della banca europea per gli investimenti affinché gli stati membri sostengano investimenti ed innovazione non renderà l’economia meno avversa ai rischi. Inoltre, un impegno rinnovato a garantire finanze pubbliche sane non trasformerà gli ormai prudenti nuclei familiari euopei in felici spendaccioni.
Se i leader europei fossero realmente impegnati nei confronti della crescita e del lavoro, dovrebbero focalizzarsi sulla revisione del mercato unico europeo, che in molti settori è unico solo di nome e non di fatto, in modo da poter incoraggiare una crescita più rapida da parte delle aziende più innovative ed efficienti. Dovrebbero poi definire dei piani per il finanziamento delle infrastrutture essenziali e quindi non treni ad alta veocità mal collegati, ma interconnessioni per i sistemi energetici e le dorsali delle telecomunicazioni dell’era informatica.
Inoltre, dovrebbero concordare uno schema che porti ad un percorso futuro credibile per il prezzo del carbonio, cosa che darebbe al settore privato la previdibilità necessaria per investire nell’efficienza energetica e nell’energia pulita. Dovrebbero poi individuare un meccanismo per bilanciare le differenze del costo del credito tra la parte settentrionale e quella meridionale dell’eurozona.
I leader UE dovrebbero inoltre incoraggiare gli investimenti privati nei settori dei prodotti tradable dei paesi membri del sud Europa, aiutando in tal modo queste economie a ripristinare la base delle loro esportazioni in tempi più rapidi. Dovrebbero poi investire più soldi nelle inziative di formazione dei giovani e incoraggiarli a diventare più mobili.
Infine, ma non per importanza, i policymaker dovrebbero studiare un modo per limitare un risparmio eccessivo all’interno dell’eurozona al fine di contenere una pressione al rialzo sul tasso di cambio della valuta unica. Ma qualora non si trovassero d’accordo su come portare avanti tutte queste tematiche, dovrebbero resistere alla tentazione di nascondere queste differenze.
Sul fronte politico, la discussione verte su quale tipologia di unione l’UE dovrebbe aspirare a diventare e la tentazione post-elettorale è di rispondere: un’unione meno integrata. Questa risposta sarebbe tuttavia un errore, di certo comprensibile, ma pur sempre un errore. I cittadini europei possono infatti essere divisi sul livello di integrazione desiderabile, ma condividono invece l’idea che i propri governi debbano dare delle risposte, indipendentemente dal livello d’integrazione, e così anche l’Europa, in particolar modo rispetto all’euro.
E’ pur vero che, , tre quarti dei francesi pensano che non si sarebbe dovuta portare avanti l’iniziativa dell’euro. Ma la stessa proporzione si oppone invece all’abbandono della moneta unica. Il messaggio alle istituzioni UE è dunque chiaro: sarà stato un errore avervi affidato questo compito, ma la decisione è stata ormai presa, quindi il vostro ruolo è adesso quello di far funzionare l’euro.
In altre parole, i cittadini europei non appoggeranno sicuramente eventuali piani volti ad allargare l’ambito delle politiche e dell’autorità europea, ma, allo stesso tempo, sono consapevoli della necessità di avere un’UE che rispetti gli obblighi che ha già.
Poco prima di morire, Tommaso Padoa-Schioppa, ex membro della BCE ed ex Ministro italiano delle finanze, ha espresso questo concetto in modo chiaro. Un potere limitato, ha detto, viene spesso confuso con un potere debole che non ha gli strumenti necessari per agire all’interno della sua sfera di autorità. Ma è in realtà la sfera dell’autorità a dover essere limitata, e non il potere di azione all’interno di quei limiti.
I leader europei dovrebbero adottare questa massima come loro motto e comprendere quindi che non è il momento per una maggiore integrazione europea, ma per un’Europa che svolga bene il suo mandato. Ciò potrebbe comportare eliminare compiti non necessari sui quali l’UE non ha legittimità o non ha gli strumenti necessari, ma potrebbe anche voler dire dare all’UE il potere necessario per avere successo negli ambiti che sono già di sua competenza.
Una simile agenda pragmatica potrebbe sembrare poco esaltante, e probabilmente lo è. Ma forse offre anche la migliore opportunità per riconciliare il popolo europeo con l’UE.
Traduzione di Marzia Pecorari
Jean Pisani-Ferry, Commissario generale del governo francese per la pianificazione politica, è professore presso la Hertie School of Governance di Berlino. E’ inoltre ex direttore di Bruegel, think tank economico con sede a Bruelles.
Copyright: Project Syndicate, 2014.
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