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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2014 alle ore 17:07.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:17.

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Certamente, la Cina ha anche allentato la politica monetaria, ma gli sforzi compiuti sono stati ben minori rispetto a quelli della Fed, non essendo dovuta ricorrere a tassi di interesse pari a zero o strategie basate sul quantitative easing, ma solo a riduzioni standard dei tassi ufficiali (cinque tagli alla fine del 2008) e dei requisiti di riserva (quattro aggiustamenti).

La cosa più importante da notare è che a Pechino la logica dell’estrapolazione non ha attecchito. I funzionari cinesi hanno considerato gli interventi effettuati nel biennio 2008-2009 delle misure una tantum, e sono stati molto più tempestivi dei loro omologhi statunitensi nell'affrontare le incognite di politiche avviate in piena crisi. In America, invece, la negazione ha messo radici profonde.

A differenza della Fed, che continua a ignorare le possibili ripercussioni negative del QE sui mercati delle attività finanziarie e sull'economia reale, tanto in patria quanto all'estero, le autorità cinesi hanno dimostrato di essere molto più consapevoli dei nuovi rischi durante e dopo la crisi e si sono attivate rapidamente per affrontarne molti, soprattutto quelli legati a un eccesso di leva finanziaria, sistemi bancari ombra e mercati immobiliari.

Non è stato ancora stabilito se i funzionari cinesi abbiano fatto abbastanza. Io penso di sì, anche se ammetto di essere in minoranza. A fronte dell'attuale rallentamento della crescita, la Cina sarebbe potuta tornare al suo precedente approccio a prova di crisi; la scelta di non farlo è un altro esempio della volontà dei suoi leader di non cedere all’estrapolazione e tracciare, invece, una rotta diversa.

La Cina ha già fatto molto in tal senso lasciandosi alle spalle un modello di crescita che aveva guidato con successo lo sviluppo economico del paese per più di trent'anni. Ha riconosciuto la necessità di passare da un modello basato sulla produzione trainata dall'export e dagli investimenti (industria manifatturiera) a un modello basato sui consumi interni (industria dei servizi). Grazie a questo cambiamento, la Cina avrà molte più chance di evitare la temuta "trappola del reddito medio" che irretisce gran parte delle economie in via di sviluppo proprio perché, in questi paesi, i politici credono erroneamente che la ricetta per far decollare la crescita valga anche per raggiungere lo status di paese sviluppato.

I casi dell’America e della Cina non sono a sé stanti. Come sottolineo nel mio , la codipendenza tra Cina e America unisce i due paesi in modo indissolubile. Il problema riguarda le conseguenze delle loro diverse strategie politiche, cioè la stasi americana e il ribilanciamento cinese.

Un probabile risultato potrebbe essere quello di un "ribilanciamento asimmetrico". Nel trasformare il proprio modello economico, la Cina passerà da un eccesso a un assorbimento di risparmio, impiegando i propri asset per finanziare una rete di sicurezza sociale e, quindi, contenere il risparmio precauzionale delle famiglie motivato dalla paura. D’altro canto, l'America sembra intenzionata a mantenere la sua linea attuale, convinta che il modello basato su un basso livello di risparmio e un eccesso di consumo, che in passato funzionava così bene, continuerà a funzionare senza problemi anche in futuro.

Il tentativo di conciliare queste due visioni avrà delle conseguenze. Destinando l’eccesso di risparmio a favore dei suoi cittadini, la Cina avrà meno disponibilità per sostenere gli americani, che invece di risparmi ne hanno pochi; ciò rischia di influenzare le condizioni in base alle quali gli Stati Uniti attraggono finanziamenti esteri, provocando l’indebolimento del dollaro, l’aumento dei tassi di interesse, la crescita dell'inflazione, o una combinazione di tutti questi fattori. Come reazione, i venti contrari dell’economia americana soffieranno ancora più forte.

Spesso si sente dire che una crisi non andrebbe mai sprecata: politici, policy maker e regolatori dovrebbero riconoscere il momento di profonda angoscia e assumersi il pesante fardello di una riparazione strutturale. A quanto pare la Cina lo sta facendo, l’America no. La loro codipendenza lascia intravedere una conclusione inevitabile e cioè che gli Stati Uniti finiscano per impelagarsi nell’insidiosa trappola del pensiero lineare.

Traduzione di Federica Frasca

Stephen S. Roach, membro di facoltà dell’Università di Yale ed ex presidente di Morgan Stanley Asia, è autore di un nuovo libro intitolato .

Copyright: Project Syndicate, 2014.

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