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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2011 alle ore 09:27.
Finalmente la battaglia sarà ad armi pari. Dal prossimo 1° luglio i gestori di fondi italiani non potranno più nascondersi dietro l'alibi dell'handicap fiscale, mentre gli uffici marketing di quelli esteri o esterovestiti non potranno più far leva (anche) sulle performance lorde, per evidenziare ai clienti risultati più elevati rispetto a quelle "nettizzate" dei prodotti tricolore. Un atteso livellamento del campo di gioco sul fronte fiscale, tra fondi di diritto italiano e diritto estero, che giunge dopo tante false partenze, grazie all'approvazione del decreto milleproroghe.
L'origine del problema
Con il passaggio dall'attuale tassazione sul maturato a carico dei fondi al prelievo dell'aliquota sul realizzato in capo ai sottoscrittori, sparirà defitivamente dai rendiconti dei fondi di diritto italiano il "risparmio d'imposta", una voce che i comparti azionari, in primis, hanno accumulato nelle fasi negative dei mercati e che non sono riusciti finora a smaltire nelle successive parentesi positive delle Borse. L'attuale meccanismo prevede che se la quotazione del fondo scende, il gestore calcola, nella quota, un risparmio d'imposta pari al 12,5% della perdita; un "credito" tutt'altro che liquido ed esigibile, che di fatto per il gestore rappresenta una posta virtuale di bilancio non investibile e che potrà utilizzare solo, se e quando il fondo riprenderà quota.
Il costo per lo Stato
Dopo i massimi toccati sulla scia dello sboom della new economy (10,6 miliardi di euro a fine 2002), il risparmio d'imposta, anche grazie al tecnicismo che consente a fine anno la compensazione dei crediti con i debiti d'imposta tra fondi di una stessa Sgr, a fine giugno 2010 è sceso a 4,5 miliardi di euro, secondo la più recente stima di «Plus24». Circa la metà dei quali in pancia ai prodotti gestiti dai due colossi del risparmio gestito nazionale: Pioneer ed Eurizon Capital. E secondo quanto previsto dal milleproroghe, la società di gestione che il prossimo 1° luglio non sarà riuscita a smaltire tutto il risparmio d'imposta in pancia ai propri fondi, potrà compensarlo, senza limiti di importo e di tempo, con le ritenute che come sostituto d'imposta dovrà applicare sulle plusvalenze realizzate dai partecipanti al momento dell'uscita da uno dei fondi della Sgr: l'imposta pagata dall'investitore non sarà versata all'Erario, ma sarà trattenuta dalla Sgr per abbattere, via via fino a esaurimento, il credito accumulato su un qualsiasi fondo della stessa Sgr: non deve essere necessariamente quello oggetto del disinvestimento. Un processo di smaltimento che non appesentirà, in valore assoluto, i sacrifici per le casse dello Stato, ma che potrebbe accelerare le compensazioni (in caso di trend al rialzo dei listini che generano future plusvalenze) e rappresentare, a quel punto, solo un "costo opportunità" per il bilancio pubblico.
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