Finanza & Mercati

Bpm e le incognite sulla fusione con il Banco

  • Abbonati
  • Accedi
l’inchiesta

Bpm e le incognite sulla fusione con il Banco

Nel palazzo di Piazza Meda, sede centrale della Banca popolare di Milano, c'è preoccupazione per l'impatto dei risultati dell'ispezione che la Bce ha condotto presso il suo futuro sposo, il Banco Popolare. Al Sole 24 Ore risulta che, seppur preliminarmente, il capo ispettore Ferdinando Cutino abbia rilevato ulteriori problemi di “sottocopertura” dei crediti deteriorati, i cosiddetti Npl.

A ballare sarebbe una cifra che oscilla tra uno e due miliardi. Anche per questo motivo, non solo l’istituto di Piazza Meda si aspetta che il bilancio di fine anno del Banco registri una perdita dell'ordine almeno di 1,5 miliardi dovuta ai maggiori accantonamenti, ma che da Francoforte possa arrivare al gruppo bancario frutto della fusione dei due istituti una capital decision che innalzi il minimo di capitale da detenere a fronte dei rischi, pur non richiedendo necessariamente una ricapitalizzazione che passi dal mercato. Il rumor sembra aver raggiunto Piazza Affari, contribuendo al calo registrato in questi ultimi giorni dai titoli delle due banche.

Per Giuseppe Castagna, consigliere delegato di Bpm e futuro Ad del nuovo Banco Bpm, non sono buone notizie. Ma il fatto ancor più preoccupante è che, nel corso del processo di fusione, il problema della perdurante sottocopertura dei Npl del Banco era stato sollevato. Dopo disastri come Popolare di Vicenza, Etruria e Montepaschi, è logico attendersi che in termini di governance le cose siano cambiate rispetto ai giorni in cui le scelte venivano fatte in conciliaboli esterni agli organi gestionali da manager con proprio tornaconto personale, quando le proposte arrivavano nei Cda impacchettate da advisor che si facevano pagare per vidimarle ed erano soggette a una ratifica puramente formale, magari anche frutto di spinte politiche. La fusione di Bpm e Banco, unica realizzata da quando il Governo ha approvato la legge di trasformazioni delle popolari in Spa, è un'ottima cartina di tornasole per fare una verifica.

Per conoscere le best practice di governance ci siamo rivolti ad Andrea Resti, professore del Dipartimento di Finanza della Bocconi e consulente del Parlamento europeo per la vigilanza bancaria. «Le analisi che stanno alla base di un'operazione di concentrazione vanno portate a conoscenza dei consiglieri di sorveglianza con adeguato anticipo», spiega Resti. «Gli scenari e i numeri vanno poi esplicitati con trasparenza, mostrando ipotesi differenti». Per questo ci sono anche gli advisor, i quali «devono verificare che un'operazione non esponga la banca a rischi eccessivi, sia conveniente in termini di prezzi e suscettibile di creare valore nel medio periodo».

Sulla governance del processo decisionale che ha portato alla fusione, Castagna ci ha detto esserci stato un doppio check & balance, «perché siamo passati attraverso due diversi Consigli di sorveglianza - uno in carica fino al 30 aprile e uno dopo». Gli abbiamo chiesto quante volte i consigli di Bpm - quello di gestione e quello di sorveglianza - hanno incontrato gli advisor prima del 23 marzo 2016, giorno in cui è stata annunciato il Protocollo d'intesa per la fusione. La risposta è stata: «Diverse volte». Quando abbiamo ribattuto che a noi i due consigli non risultano aver invece mai formalmente incontrato gli advisor, Castagna ha replicato: «Le pare che il Cds possa aver preso una decisione senza aver incontrato gli advisor legali e finanziari?»

Eppure, i verbali sembrano attestare proprio questo. La prima traccia documentale da noi rinvenuta è il verbale della riunione congiunta tra Cdg e Cds convocata alle 11:30 del 23 marzo nel grande salone al primo piano del palazzo di piazza Meda.

Fino alle 14 circa, viene fatta una mega-presentazione che illustra il Protocollo d'intesa con il Banco Popolare, posto al vaglio dei due consigli senza alcun preavviso né alternativa formale. Alle 14 c'è la pausa per un buffet allestito per tutti al piano di sopra. Alle 16:05 il Consiglio di sorveglianza torna riunirsi. È lì che vengono fatte le prime domande. Soprattutto su due temi: i crediti deteriorati del Banco e il cosiddetto rapporto di partecipazione, o concambio, (che si ritiene favorisca Verona, alla quale il Protocollo d'Intesa prevede vadano il 54% delle azioni). Sui crediti nessuno fornisce risposte esaurienti. Sui rapporti il verbale riporta che gli advisor legali, l'avvocato Giuseppe Lombardi e il professor Piergaetano Marchetti, sottolineano «l'importanza rivestita dal fatto che il futuro Ad sia il dottor Castagna».

Ma il tempo stringe. L'accordo con il Banco è di emettere in serata un comunicato-stampa per annunciare il Protocollo d'intesa. Occorre chiudere. Ovviamente approvando il Protocollo. È quello che si aspetta anche il Governo. Che cinque giorni prima aveva fatto sentire la propria voce attraverso un comunicato che diceva: «Il Ministro dell'Economia apprezza questa operazione dalla quale nascerà una banca più grande e più forte».

Per tagliare la testa al toro, recita il verbale, il presidente Giarda «formula la considerazione di sintesi che il parere deve essere espresso per il progetto di fusione predisposto per l'assemblea». In altre parole, la decisione da prendere quella sera non avrebbe contato più di tanto. A contare sarebbe stato il parere dato successivamente. Pur di chiudere, Giarda propone inoltre di tenere aperto il verbale in modo da permettere a tutti di allegare osservazioni ex post. È da queste che scopriamo le perplessità di alcuni consiglieri. In particolare di Maria Luisa Di Battista, professoressa di Economia e giurisprudenza alla Cattolica, che nelle sue “Osservazioni” stigmatizza così le pressioni del Governo: «Il comunicato [del Mef] a chi scrive appare irrituale. Infatti esso giunge prima che gli organi di amministrazione delle due banche si fossero espresse sull'operazione e ancor prima che conoscessero i termini del Protocollo […] In quanto irrituale il comunicato ha certamente influito, se non condizionato, l'evoluzione dell'operazione». Ancora più severo è il suo giudizio su come il vertice della banca ha tenuto all'oscuro non solo il Cds, organo cui lo statuto assegna «funzioni di controllo e di vigilanza», ma anche quello cui «spetta la gestione dell'impresa», e cioè il Consiglio di gestione: «Chi scrive, in più occasioni, ha avuto modo di evidenziare, anche in qualità di membro del Comitato controlli interni che ha partecipato alle sedute del Cdg, la tenuità con la quale il Cdg ha esercitato la funzione di supervisione strategica con riferimento alle diverse ipotesi di aggregazione inizialmente prese in considerazione. Tali ipotesi non hanno mai costituito oggetto di approfondita analisi, dibattito e valutazione da parte del Cdg […] Il 23 marzo è stata la prima e l'unica volta in cui gli advisor finanziari sono intervenuti in Cdg e in Cds».

Effettivamente era da tempo che la professoressa Di Battista manifestava la propria inquietudine sul mancato coinvolgimento del Cdg nel processo di analisi e valutazione delle ipotesi di fusione, e specificatamente su come si era arrivati a scartare alternative come l'Ubi. Ecco cosa si legge nel verbale del 23 febbraio: «Nel rammentare che dall'informativa resa l'8 febbraio dal Consigliere delegato in CdG vi erano ancora diverse opzioni percorribili, [la Prof. Di Battista] rappresenta come in sede consiliare non si sia mai dato atto delle motivazioni e modalità con cui le interlocuzioni con alcuni proseguono e con altri siano invece venute meno. Allo stesso modo dà atto di aver appreso da notizie di stampa che l'11 febbraio vi sarebbe stato un incontro presso la Bce di cui non si è fatto alcun cenno nel consiglio dell'8 febbraio nel corso del quale il Cd e il Cd del Gruppo Banco Popolare avrebbero presentato un possibile piano a Bce. Pone in evidenza che la decisione di presentare al supervisore europeo un piano di aggregazione tra i due sia un'implicita decisione quanto meno protempore di restringere i possibili partner dell'operazione di aggregazione al solo Banco. Ritiene che tale ultima decisione, avendo natura strategica avrebbe dovuto essere discussa e deliberata previamente dal Cdg».

A difesa dell'operato di Castagna era intervenuto il presidente del Cdg Mario Anolli, secondo il quale, «il Consigliere Delegato ha ricevuto dal Cdg indicazioni precise nell'ambito delle quali ha condotto le successive interlocuzioni con i possibili gruppi bancari interessati al processo di consolidamento del settore bancario italiano». Lo stesso concetto era stato ribadito da Castagna, che aveva dichiarato «di aver gestito le interlocuzioni nel rigoroso rispetto delle indicazioni ricevute e di aver nel continuo informato il Cdg con un livello di informazioni che ritiene adeguato e corrispondente, se non superiore, alle prassi di mercato per operazioni di questo tipo».

Quanto approfondito fosse stato quel «livello di informazioni» era stato chiarito dallo stesso Anolli: «le interlocuzioni riferite alle possibili Operazioni straordinarie si svolgono prettamente tra advisor delle parti e le posizioni potranno trovare un perimetro definitivo solo alla fine delle stesse e, pertanto, non si è ritenuto opportuno il coinvolgimento formale del Consiglio di gestione in questa fase, ma solo al momento in cui le interlocuzioni avranno un grado di dettaglio e definizione tale da poter consentire al Consiglio di esprimere le proprie valutazioni […] in considerazione del variabile andamento delle interlocuzioni non sono state ancora portate all'attenzione del Cdg informative di dettaglio sulle possibili Operazioni straordinarie, premature in questa fase». E, ciliegina sulla torta della governance Anolli-style, il presidente aveva «rivendicato l'esigenza di riservatezza del processo, anche nel rispetto e tutela dei vari attori coinvolti».

Ma torniamo alla riunione congiunta dei due consigli del 23 marzo. Dal verbale apprendiamo che Di Battista non era stata la sola a criticare le procedure adottate: «Nel richiamare le perplessità più volte manifestate sulle modalità e tempistiche con le quali il Consiglio di Sorveglianza è stato messo a conoscenza del processo che ha portato, oggi, alla definizione del Protocollo d'Intesa, [l'avv. Montanari] ribadisce le proprie perplessità […] il dott. Omati condivide le considerazioni dell'avv. Montanari».

Poiché Giarda aveva sagacemente sottolineato il fatto che non era quello il parere che avrebbe contato, nel consiglio del 23 marzo prevale comunque la volontà di andarsene tutti a cena. Con il contributo di Marchetti viene dunque stilata una delibera che si chiude con un'espressione di «apprezzamento generale per l'iniziativa in esame che potrebbe segnare l'avvio del necessario processo di consolidamento del sistema bancario italiano». Solo due consiglieri, Omati e Montanari, votano contro. Nelle sue “Osservazioni” allegate sei giorni dopo, l'avvocato Montanari spiegherà così la sua scelta: «Non ho potuto aderire a una delibera che inevitabilmente sarebbe stata interpretata, al di là delle cautele verbali adottate, come un parere favorevole alla stipulazione del protocollo di intesa e alla prosecuzione dell'operazione nei termini prospettati».

Alle ore 19:15, Giarda dichiara chiusa la riunione. Poco dopo viene emesso un comunicato stampa che preannuncia la fusione. Possibile che ai membri dell'“Organo con funzioni di controllo” della Bpm sia stato concesso un totale di sette ore e quarantacinque minuti pausa pranzo inclusa per recepire e valutare termini e condizioni di un accordo che avrebbe posto fine al loro istituto per crearne uno nuovo che, tra le altre cose, avrebbe ricevuto in dote 25 miliardi di Npl? Non esattamente. Come ha sottolineato Giarda non era infatti ancora un parere definitivo. Per quello ci sarebbe stato il tempo di fare una valutazione ben più approfondita, grazie soprattutto al lavoro fatto dagli advisor finanziari, Citigroup e Lazard.

Castagna ha preferito non rivelare quanto abbia pagato gli advisor, dicendo solo che complessivamente dubita che la cifra supererà i 10 milioni. Il Cd ha specificato comunque di non aver ancora liquidato gli advisor, «perché chiaramente c'è un discorso di success fee che avviene al momento della conclusione». In altre parole una parte del compenso si sarebbe pagata solo nel caso l'operazione fosse andata in porto. Un bell'incentivo ad assecondare la fusione. Al di là della cifra finale, Castagna ci ha detto che le procedure di analisi e valutazione «sono state complete, serie, e chiaramente legate a una situazione contingente in cui c'è un'enorme attenzione ai crediti deteriorati». Ma dalle carte emergono accuse di superficialità. Nelle sue “Riflessioni” del 19 maggio 2016, il consigliere Alberto Balestreri ha per esempio scritto: «[Nella] sintesi del piano industriale […] non sono presenti simulazioni dello stato patrimoniale, né una chiara evidenza della dinamica dei Npl (coverage e cessioni) e degli impatti che essi determineranno sul risultato economico e sul patrimonio netto».

Ed ecco cosa si legge nel rapporto valutativo fatto da Ernst & Young per conto del Tribunale di Milano sul metodo adottato dai due advisor per le loro proiezioni: «Gli ultimi piani industriali disponibili di Bpm e Banco Popolare […] non sono omogenei in termini temporali e si basano su ipotesi macroeconomiche non più attuali. Di conseguenza, ai fini valutativi le proiezioni sono state estrapolate da una selezione di report di analisti finanziari […] coerenti con le aspettative di medio periodo del management delle due banche». In altre parole, avendo concluso che i piani industriali delle due banche erano inadeguati, Citigroup e Lazard hanno basato le loro valutazioni non su analisi indipendenti ma su quelle scelte dal management. Il che ricorda il metodo usato da Mauro Bini, il professore della Bocconi che da “esperto indipendente” della Popolare di Vicenza, anno dopo anno, ha permesso a Gianni Zonin di attribuire al titolo della banca un valore di 62 euro e cinquanta centesimi.

Per gli azionisti della Bpm non c'era il rischio di finire con un pugno di mosche come è stato a Vicenza, ma il 15 ottobre, essendo chiamati a prendere una decisione sul futuro della banca, i soci avrebbero sicuramente beneficiato da informazioni più minuziose. Come ha fatto notare lo stesso Castagna, in quell'assemblea lo scarto a favore della fusione è stato molto ridotto. Appena 522 voti su 10.187. Il risultato sarebbe stato diverso se fossero state rese disponibili più informazioni sui Npl del Banco? E soprattutto se i soci avessero saputo dell'uno/due miliardi di cui parla Cutino? Non lo sapremo mai, visto che nessuno ha informato i votanti. Ma si sarebbe potuto farlo? Abbiamo chiesto al Cd della Bpm Castagna quando è stato informato per la prima volta delle rilevazioni, seppur preliminari, dell'ispezione Bce.

«Pochi giorni fa. La settimana scorsa», ci ha risposto.

Quindi non prima del 15 ottobre?

«Ma che prima del 15 ottobre! Stiamo parlando di una settimana fa».

Il Cd di Bpm ci ha assicurato che nei «vari contatti anche con la Bce» è stato «confortato» dal fatto che non sarebbero emerse sorprese nelle cifre degli accantonamenti. Ma se fossero emerse, gli abbiamo chiesto, le avrebbe presentate in assemblea il 15 ottobre? Seppure non in prima persona, la risposta è stata risoluta: eventuali problemi emersi «è logico che vanno presentati in assemblea». Ma Castagna garantisce che non era questo il caso.

© Riproduzione riservata