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    Dossier | N. 83 articoliCriptovalute: bitcoin e le altre

    Chi governa il bitcoin? Tredici domande per capire quale vincerà fra le visioni a confronto

    Ansa
    Ansa

    L’ecosistema blockchain e delle criptovalute è sempre in grande fermento. La moneta bitcoin spaventa per la sua carica intrinsecamente dirompente, per quell'aura di mistero causata anche dallo scarso approfondimento del tema. Ogni giorno la tecnologia che sta sotto il bitcoin è protagonista d'innovative proposte di utilizzo. Gli investitori sono attratti dalla crescita di valore e dalla volatilità, i venture capital guardano a startup innovative in cui investire. Gli operatori istituzionali per ora stanno in gran parte alla finestra a osservare, tranne i più curiosi che utilizzano intermediari per accettare pagamenti in bitcoin.

    Anche le autorità di regolazione, sia italiane che mondiali si stanno interessando al fenomeno e stanno prendendo a volte duri provvedimenti temendo che questa criptomoneta possa essere utilizzata anche a scopo di riciclaggio e per fughe di capitali da una parte minoritaria della comunità. Nascono, per ora come fenomeno di nicchia, i primi bancomat di bitcoin la cui mission pare quella di far percepire più vicino un mondo le cui competenze sul campo paiono ad oggi relegate ad un ambiente in cui regna l'egocentrismo tecnologico.

    Vogliamo mostrare uno spaccato di questo mondo con Ferdinando Ametrano, figura istituzionale del mondo Bitcoin, docente di Bitcoin & Blockchain Technology a Milano Bicocca e al Politecnico di Milano.

    Professor Ametrano, a suo parere è in corso una guerra tra fazioni nel mondo bitcoin?
    Si stanno confrontando due visioni opposte: da un lato chi vuole che la blockchain (il registro pubblico delle transazioni bitcoin) privilegi la sicurezza e l'incensurabilità di bitcoin ritenendolo oro digitale e dall’altro chi invece vuole favorire bitcoin come moneta transazionale.

    Perché queste due visioni sono in contrasto?
    È un trade-off inevitabile: per aumentare la capacità transazionale della blockchain si propone di aumentare la dimensione dei blocchi che la compongono. La conseguenza sarebbe un aumento delle risorse tecniche richieste ad ogni nodo della rete bitcoin e dei tempi di trasmissione per i blocchi. Questo scenario accelera il processo di centralizzazione per la validazione delle transazioni che già oggi è a livelli preoccupanti.

    Peraltro è una strada senza senso e senza uscita. Senza senso perché le transazioni bitcoin sono validate due volte da ogni nodo della rete: un approccio incredibilmente sicuro ma intrinsecamente inefficiente, sensato solo per poche transazioni economicamente molto significative. Senza uscita perché bitcoin oggi consente tre transazioni al secondo, VISA circa 60mila: bisognerebbe portare il blocco dall'attuale dimensione di 1MB a 20GB, una follia considerando che si aggiunge un blocco ogni circa dieci minuti.

    Si era diffuso il sogno in una parte dei “bitcoin addicted” di usare bitcoin per micro-transazioni. Era una chimera a suo parere?
    Assolutamente no. La blockchain ha una scalabilità transazionale (on-chain) intrinsecamente limitata, ma esistono già oggi soluzioni di secondo livello che permettono milioni di transazioni (off-chain) al secondo. Mi riferisco a Lightning Network: una rete di canali di pagamento basati su un protocollo crittografico che sgrava la blockchain dal dover validare tutte le transazioni, usandola solo come arbitro incorruttibile cui ricorrere nell'eventualità in cui una controparte tenti di truffare l'altra.

    Molti sostenitori del bitcoin lamentano che le transazioni non sono più gratuite come in passato. Come mai?
    Ognuno può immaginarsi il bitcoin che preferisce, peccato che la realtà sia testarda e non si pieghi. Transare sul network più sicuro al mondo è un lusso che si pagherà sempre più caro. Bitcoin è oro digitale: la resilienza a qualsiasi censura e manipolazione è la condizione inderogabile per la sua utilità. Ed è anche la condizione che renderà possibili i milioni di transazioni al secondo con Lightning Network. La sicurezza e incensurabilità di bitcoin non hanno prezzo, per tutto il resto c'è Lightning Network.

    Eppure sembra che i sostenitori dei blocchi grandi vogliano procedere unilateralmente a modificare il protocollo bitcoin in tal senso. Quali effetti può avere tale cambiamento sulla comunità?
    Sono piani velleitari. I sostenitori dei blocchi grandi promuovono un cambiamento al protocollo che chiamano Bitcoin Unlimited (BU), opposto a quello che è comunemente chiamato Bitcoin Core. Il loro software è però di scarsa qualità: un bug rivelato qualche settimana fa ha consentito un attacco che ha rimosso dal network tutti i nodi BU. È un incidente gravissimo, mortale per bitcoin se avesse riguardato tutti i nodi. È stato interessante notare che le decine di migliaia di transazioni che restavano in coda senza poter entrare in un blocco sono scomparse: questo suggerisce che fossero transazioni in gran parte finte, create ad arte per mettere pressione a vantaggio dei blocchi grandi. Per fortuna la grandissima maggioranza dei nodi usa Bitcoin Core.

    BU è però forte del sostegno dei miner cinesi, cioè dei nodi che controllano la maggioranza della potenza computazionale necessaria a rendere sicuro il protocollo bitcoin.
    I miner, pur segnalando il loro supporto, per ora si guardano bene dall'usare BU: nell'attacco di qualche settimana fa i loro nodi sono rimasti attivi, dimostrando quindi di utilizzare ancora il codice senza bug di Bitcoin Core.

    Nondimeno il controllo della potenza computazionale consente di attivare un hard fork, cioè l'equivalente di una secessione, reclamando per loro il marchio bitcoin.
    Non direi proprio. Possono certamente iniziare un hard fork, ma ad esempio tutte le borse dove bitcoin è scambiato con valute tradizionali hanno chiarito che lo considererebbero come la nascita di una nuova criptovaluta (BTU) diversa dal bitcoin tradizionale (BTC). Le borse hanno anche affermato che consentiranno gli scambi di BTU solo se l'hard fork non usa tecniche aggressive verso BTC, rispettando quelle condizioni squisitamente tecniche che consentano il trading “pacifico” di entrambe. Ma BTU, se non riesce ad uccidere BTC, con la sua potenza computazionale sarebbe facilmente destinato all'irrilevanza economica.

    Per quale motivo lo afferma? Quali sono gli attori che potrebbero consentire il successo a questa secessione?
    Perché hanno il sostegno della potenza computazionale, ma non quella di tutti gli attori economicamente rilevanti. Abbiamo già detto delle borse, ma c'è da aggiungere la maggioranza dei nodi non miner e soprattutto la quasi totalità della comunità tecnica e degli sviluppatori: non piace l'idea che qualcuno cambi di forza il protocollo bitcoin. Sarebbe un precedente pericolosissimo: oggi sono i miner, domani potrebbe essere un agente ostile. I business bitcoin sono invece più divisi: alcuni sono confusi, tra gli altri comunque sembra prevalere una maggioranza contro BU, sebbene meno schiacciante.

    In questo grande universo che ci ha appena descritto chi governa in realtà bitcoin?
    Bella domanda… tutti e nessuno. Tutti possono proporre e perfino adottare modifiche al protocollo, ma queste sono efficaci solo se condivise da una maggioranza totalitaria. Gli incentivi economici del protocollo sfavoriscono modifiche contenziose che dividono il network di una singola criptovaluta: nel lungo periodo, inevitabilmente, una delle parti diventa economicamente insignificante. Da un lato c'è la massima libertà, dall'altro c'è una rigidità intrinseca. Se si cambia qualcosa senza consenso, si crea di fatto una diversa criptovaluta: a quel punto le logiche diventano quelle della concorrenza di mercato tra soluzioni alternative, non di governo del protocollo originario.

    Le due fazioni in lotta non potrebbero trovare una sorta di compromesso “tecnico”? Almeno raddoppiare la dimensione del blocco...
    Abbiamo già detto che un raddoppio della dimensione sarebbe solo un palliativo: non risolve il problema della scalabilità per sempre. Le proposte di compromesso tradiscono una doppia incomprensione. Quella più grave è non cogliere che si creerebbe un precedente di governo del protocollo pericoloso, che lo fa apparire come emendabile se le pressioni sono abbastanza forti. Quella invece tecnicamente scorretta è contrastare un'altra proposta, nota come SegWit, che rappresenterebbe un cambiamento storico del protocollo: corregge alcuni difetti architetturali, facilita l'adozione di Lightning Network ed ha come effetto collaterale proprio il tanto agognato raddoppio della dimensione effettiva del blocco. Insomma, chi spinge per il blocco grande e contrasta SegWit vuole solo aprire un varco nel governo del protocollo, il raddoppio della dimensione è una scusa.

    Sembra davvero difficile entrare nelle logiche del mondo bitcoin… ma la sua crescita è sostenibile o può subire battute improvvise d'arresto?
    Bitcoin è uno straordinario esperimento, con un contenuto d'innovazione dirompente e difficile da comprendere pienamente. S'incrociano nella sua architettura elementi di crittografia, teoria dei giochi, sistemi distribuiti, teoria monetaria: competenze che difficilmente si ritrovano in un singolo individuo. Pertanto chi lo studia non può fare a meno di partire con grande scetticismo: quando non si fissa nella critica di un singolo aspetto (mal compreso nella sua relazione con il resto) spesso immagina velleitariamente di poterlo migliorare con uno spunto particolare di cui non comprende le conseguenze disastrose fuori dal suo dominio di competenza. Bitcoin nei suoi primi otto anni di vita ha dimostrato di essere tecnologicamente inattaccabile; in questi mesi è sotto gli occhi di tutti la verifica se possa funzionare anche in assenza di processi di governo formale e se sia resiliente perfino all'attacco della maggioranza computazionale del suo network.

    In Italia queste dinamiche di divisione come sono vissute?
    L'Italia riflette il dibattito internazionale. Abbiamo i sostenitori di BU, capeggiati da Franco Cimatti, una figura storica dell'ecosistema italiano. Schierati contro BU ci sono invece la maggioranza degli imprenditori e dei business: da The Rock Trading, borsa di scambio di imprenditori italiani con sede a Malta, ad intermediari di pagamento come Inbitcoin, a startup di livello internazionale come Eternity Wall e GreenAddress, ad incubatori/laboratori come BlockchainLab. Del sottoscritto penso si sia capita l'opinione.

    Lei cosa pensa del mondo bitcoin e blockchain in Italia?
    Abbiamo delle eccellenze: oltre alle startup già citate aggiungerei almeno Oraclize, Helperbit, Conio ed iniziative di formazione come la Blockchain Academy di B3. C'è un corso Bitcoin e Blockchain Technology sia a Milano Bicocca che al Politecnico di Milano. Abbiamo rilevanti competenze di professionisti sul fronte fiscale e legale. Tutte le società di consulenza sono concentrate su questi argomenti. Abbiamo banche attente al fenomeno ed anche Banca d'Italia mostra interesse sull'argomento: il loro workshop blockchain del 2016 è stato aperto dal Governatore in persona. Non aiuta la forte componente antagonista presente nella comunità bitcoin, ma nemmeno la supponenza di alcuni interlocutori istituzionali.

    Ci sarebbe bisogno di poter capire meglio…
    IlSole24Ore potrebbe aiutare!

    Nota dell’autore: Non faremo mancare opportunità di approfondimento ai nostri lettori. Nonostante le divisioni bitcoin è riuscito a superare numerosi ostacoli alla crescita. Riuscirà a diventare l'uso e la competenza di bitcoin di dominio pubblico e non relegata ad una ristretta comunità. Forse grazie anche a figure istituzionali come il professor Ametrano bitcoin potrà diventare un fenomeno conosciuto ed apprezzato dai più.

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