NEW YORK - Michael Corbat, chief executive di Citigroup, non teme di prendere posizioni scomode. Prede di petto l’anti-globalismo dal ponte di comando di una banca globale per eccellenza. Nel giro di poche ore ha pubblicato sul Wall Street Journal un commento che, nell’odierno clima di populismo conservatore, è difficile non classificare come un monito a Trump, in particolare contro il grilletto facile nelle guerre commerciali. Ricorda che, a fronte del deficit nei beni, gli Stati Uniti coltivano un surplus nei servizi, di cui Citi è tra i protagonisti quando si parla di finanza.
Poi interviene all’Economic Club di New York, davanti all’élite economica e finanziaria di Manhattan, per insistere nella difesa di una visione globale come indispensabile e avvertire che la politica delle controversie più aggressive e nel neo-populismo non si metta in mezzo per fare sgambetti alla fiducia del business e dell’economia.
Parla a centinaia di ospiti, nella maestosa sala del 583 Park Avenue, un palazzo del 1923. Viene presentato come l’executive che ha guidato Citi fuori dalla crisi, alla trasformazione e al rilancio. E vengono ricordati i suoi trascorsi di giocatore di football americano, quando era all’università. Un riferimento voluto: sempre pronto a entrare nella mischia. I temi sui quali Corbat oggi parla chiaro sono utili da riassumere.
Europa
«La Bce è in una posizione molto più difficile della Federal Reserve», avverte Corbat. «Ha molta meno flessibilità nel suo
arsenale». Il suo balance sheet, in particolare, «va ancora nella direzione sbagliata» e così i tassi di interesse. Senza
contare il nodo di Brexit, dove «non abbiamo avuto scelta se non quella di essere pronti a una hard exit». Citi ha pianificato
per «l’inevitabilità» dell’uscita di Londra, ma ammette che esistono ancora più domande che risposte sicure sul cammino verso
e dopo Brexit. L’unica cosa che potrebbe cambiare qualcosa sarebbe un eventuale nuovo voto britannico che in futuro ribalti
l’uscita dalla Ue, ma «non sembra una scommessa da fare».
Commercio
«L’impatto del commercio globale è importante; la balcanizzazione e il protezionismo non riconoscono questo fatto». Corbat
vede una spirale sociale e politica che si scontra con le ragioni dell’economia nell’alimentare simili atteggiamenti. Sottolinea
però come i dazi possano creare riorientamenti, non una cancellazione del commercio, impegnando semmai una banca come Citi
a lavorare con i clienti «sull’accesso a nuove direttrici e per evitare interruzioni nelle reti di fornitura». Anche nel caso
del duro scontro tra Stati Uniti e Cina, da alcuni definito come una sorta di neo-cortina di ferro economica, l’obiettivo
che Citi ritiene perseguibile è quello di preparare, con le aziende, piani di emergenza che ne tengano conto quanto necessario.
Economia
Quella statunitense appare «in buono stato», guidata com’è per due terzi dai consumi e quindi nutrita da un solido mercato
del lavoro anche se il nodo dei bassi salari resta irrisolto. Il settore immobiliare, nonostante le vendite di case abbiano
frenato, mantiene a suo avviso buone valutazioni. E la Corporate America è oggi ottimista, ancor più dopo la riduzione delle
tasse che ne hanno accelerato il contributo all’economia. Una domanda tuttavia incombe: «Quanto sarà sostenibile?». L’espansione
«non potrà durare all’infinito», avverte Corbat. Ci sarà una recessione, verità che rende imperativo per la Fed aver normalizzato
entro allora la sua politica monetaria, avere cioè in quel momento «la massima capacità nel suo bilancio e sui tassi di interesse
per poter intervenire».
Così Corbat prevede altre tre strette sui tassi, la prima a dicembre, la seconda entro giugno e infine a settembre del 2019.
Debito e finanza
La domanda è qui se le aziende siano già incorse in eccessivo indebitamento - considerando che questo leverage rappresenta
il 72% del Pil stando all’Institute of International Finance, vicino ai massimi storici. Ma Corbat ritiene che «le casse delle
aziende siano in realtà relativamente in salute, rafforzate come sono state dagli sgravi fiscali». Fuori dalle società finanziarie,
la Fed deve tenere d’occhio il crescente ruolo svolto da istituzioni non bancarie, ma il rischio ad oggi appare a Corbat «non
troppo sistemico».
Amazon
Corbat interviene anche sul fenomeno della continua espansione di un colosso tech quale Amazon. L'arrivo di metà del secondo
quartier generale del re del commercio elettronico e di Internet a New York è «una grande notizia per la città». Perché New
York City è «dove i giovani vogliono essere», non solo per la finanza ma per il tech. E Citi ha fatto la sua parte per aiutare.
«A Long Island City, che diventerà la nuova sede di Amazon, avevamo ampie attività e ci siamo resi disponibili a riorganizzare
la nostra presenza liberando spazi. Citi rimane uno dei grandi clienti immobiliari di Manhattan: vanta sei milioni di piedi
quadrati di uffici».
Citi: meno grandi, più globali
Corbat entra nel merito della strategia di Citi per continuare a riscattarsi dalle ombre della crisi passata. Finita la missione
di restituire stabilità alla banca, l'obiettivo e diventato un «ritorno alle radici». Ai due elementi core: «Siamo una banca,
non una compagnia di assicurazioni, o un gestore di asset, un hedge o altro ancora. E abbiamo un raggio d’azione globale,
che rappresenta una rete di grande valore per i nostri clienti». Il cambio di marcia ha significato una scommessa sulla «crescita
organica» anzichè su acquisizioni, con il capitale destinato a essere reinvestito nel business o restituito agli investitori.
Tutte le banche americane stanno conquistando posizioni di mercato rispetto alle rivali internazionali. Citi, però, si guarda
oggi con attenzione da tentazioni di eccessivo gigantismo e di troppi rischi. Un esempio su tutti: ora ha a che fare con 13.000
investitori istituzionali contro i 32.000 pre-crisi.
Tecnologia trasformative
Le trasformazioni portate con sé dalla tecnologia si affermano e Citi le sposa. Le carte di credito, delle quali Citi è il
maggior emittente globale, potrebbero presto sparire, ma solo come pezzo di plastica. Resta l’eco-sistema dei pagamenti, che
passa ad esempio da smartphone e universo digitale. Occorre attrezzarsi sempre più, quindi, «per aiutare i clienti a curare
la loro vita finanziaria» nel nuovo clima. Non solo quando si tratta di pagamenti, ma anche di prestiti, risparmio, spesa.
La sfida urgente di fine anno
«Il rischio maggiore che vedo è un colpo che riesca a danneggiare seriamente la fiducia» dice Corbat. La fiducia del business,
a livello mondiale, resta «la migliore da tempo». E sarebbe un peccato, conclude Corbat, se «permettessimo alla retorica politica
di minarla».
© Riproduzione riservata