Il cerchio della politica transatlantica si sta stringendo intorno a Gazprom. Con quella che è sembrata una manovra a tenaglia, il Congresso americano e il Parlamento europeo a distanza di poche ore hanno approvato due risoluzioni contro il raddoppio di Nord Stream, il gasdotto che collega la Russia con la Germania passando sotto il Mar Baltico, esortando le imprese coinvolte – non solo il gigante russo del gas, ma anche cinque società europee – a «cancellarlo».
Entrambe le iniziative non comportano conseguenze immediate, ma sono un ulteriore passo verso l’adozione di sanzioni mirate contro il progetto: una minaccia che Washington sta agitando da mesi e che rappresenta un serio rischio soprattutto per i partner di Gazprom, imprese basate nella Ue, ma che sono particolarmente vulnerabili a ritorsioni da parte degli americani, perché operano anche negli Usa.
Le società tedesche Wintershall e Uniper, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, la francese Engie e l’austriaca Omv possiedono il 49% di Nord Stream 2 e hanno già finanziato buona parte dei lavori, che dovrebbero essere ultimati tra circa un anno.
I soci (Gazprom inclusa) hanno speso finora 6 miliardi di euro, sui 9,7 miliardi preventivati, ha affermato il presidente di Wintershall, Mario Mehren, secondo l’agenzia russa Ria.
Ma non è tutto. Mentre su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico i parlamentari prendevano di mira Nord Stream, anche Naftogaz muoveva un nuovo attacco: la compagnia di Stato ucraina – che dopo un arbitrato a Stoccolma rivendica un indennizzo di 2,6 miliardi di dollari da Mosca – ha fatto causa a Gazprom anche negli Usa, a New York e in Texas, sperando probabilmente di trovare giudici più propensi a deliberare il sequestro di beni della società russa. A darne notizia via Facebook è stato il direttore commerciale di Naftogaz, Yuriy Vitrenko, dopo che Kiev nei mesi scorsi aveva aperto procedimenti analoghi in Gran Bretagna, Olanda e Svizzera.
Quando si tratta di energia il contrasto politico tra Usa e Russia si coniuga anche in termini di concorrenza economica, oggi che Washington grazie allo shale si è imposta come un gigante del petrolio e del gas. E il raddoppio del Nord Stream è senza dubbio un terreno fertile per coltivare un’alleanza Usa-Ue in chiave anti-russa.
L’infrastruttura gode tuttora del forte appoggio della Germania, anche se la cancelliera Angela Merkel ha fatto qualche concessione, aprendo alla costruzione del primo rigassificatore tedesco (in modo da poter importare anche Gnl americano) ed esigendo da Mosca rassicurazioni sui futuri transiti di gas in Ucraina.
Ma i nemici del Nord Stream 2 in Europa sono numerosi e agguerriti, soprattutto nell’ex blocco sovietico, e le stesse istituzioni comunitarie non l’hanno mai visto di buon occhio.
La risoluzione appena adottata in seduta plenaria dal Parlamento europeo (con 433 voti a favore, 105 contrari e 30 astensioni) condanna la costruzione di Nord Stream 2 in quanto «progetto politico che minaccia la sicurezza energetica europea» e chiede di «cancellare» il progetto.
Il documento inoltre «esorta la Ue e i Paesi membri a introdurre sanzioni mirate contro la Russia», se Mosca non rilascerà i marinai ucraini arrestati nello Stretto di Kerch e se ci sarà un’ulteriore escalation militare.
Il linguaggio è molto simile a quello del documento bipartisan approvato poche ore prima negli Usa dalla Camera dei Rappresentanti, che definisce il Nord Stream 2 «un drastico passo indietro per la sicurezza energetica europea e gli interessi degli Stati Uniti» e chiede al presidente Donald Trump (cui ha già delegato il potere di adottare autonomamente sanzioni) di «usare qualsiasi mezzo disponibile» per fermare il progetto».
Il vice segretario all’Energia Francis Fannon aggiunge un messaggio a margine, rivolto ai partner europei di Gazprom: «Fare affari con il Nord Stream 2 non è coerente con i valori transatlantici condivisi».
Il Cremlino, attraverso il portavoce Dmitry Peskov, replica che quella di Washington «non è altro che concorrenza sleale mascherata» e insiste che il progetto ha una valenza «puramente commerciale» e che risponde non solo agli interessi della Russia, ma anche a quelli dei consumatori europei. Un’opinione, quest’ultima, condivisa da molti esperti di energia.
A causa di maggiori consumi e del calo della produzione interna di gas, l’Europa avrà bisogno di importazioni extra per 77 miliardi di metri cubi l’anno entro il 2025 secondo Wood Mackenzie: una quantità pari agli attuali consumi dell’Italia.
La Russia sarebbe in grado di offrirci volumi supplementari a prezzi convenienti. Tuttavia, osserva la società di consulenza, persino con Nord Stream 2 e TurkStream in funzione «ci sono dubbi che la sua capacità di esportazione riesca a tenere il passo».
Servirebbe rafforzare la rete interna di gasdotti e l’hub di Baumgarten, ma soprattutto tenere aperte tutte le possibili vie di accesso al mercato: nel caso di Gazprom sia la rotta ucraina, sia le pipeline della discordia.
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