“Fake news”. Una definizione cui vengono ricondotte molteplici situazioni: dagli errori giornalistici alla propaganda fino
alla notizia falsa. Ebbene: nell’ambito della finanza l’accezione che interessa è quella di una finta rappresentazione della
realtà. Una mistificazione, spesso, finalizzata ad alterare l’andamento delle quotazioni degli asset finanziari.
GUARDA IL VIDEO / Ecco come nasce una fake news
Alcuni casi
Simili situazioni, a ben vedere, sono sempre esistite. In tal senso, in un passato non troppo remoto, può ricordarsi l’hackeraggio
dell’account Twitter dell’Associated Press nel 2013. Una mossa finalizzata a rilanciare la falsa notizia di una duplice esplosione
alla Casa Bianca e del ferimento dell’allora presidente Usa Barack Obama. L’effetto? In pochi secondi l’S&P 500 perse più
di 136 miliardi di dollari in capitalizzazione. Non solo. Corre alla mente anche la finta proposta di Opa su Avon e Rocky
Mountain Chocolate “infilata” nel sistema informativo elettronico della Security exchange commission (Sec). Oppure il caso
che ha coinvolto (insieme ad altre aziende) la società quotata Galena Biopharma. In quell’occasione la Sec accusò l’azienda
e il suo Ceo di avere pagato, tramite una società di pubbliche relazioni, alcuni autori, che pubblicavano articoli su piattaforme
informative in Internet (tra cui Seeking Alpha), per scrivere analisi positive sulla stessa società. Alla fine l’amministratore
delegato e l’azienda biotech hanno transatto il procedimento con la Sec.
Tutto come sempre..oppure no
Ciò detto l’obiezione è spontanea: dov è la novità? Situazioni simili, per l’appunto, sono sempre esistite e sempre esisteranno.
Vero! E, tuttavia, una differenza con il passato esiste: è andato via via creandosi un sistema borsistico che, nonostante
i molteplici interventi finalizzati a “stringere le maglie” (non da ultimo la Mifid2), agevola l’impatto delle “fake news”
sui mercati. Vediamo di spiegarci.
I software «re di Borsa»
I listini hanno subito un processo di “iper-tecnologizzazione”. Una mutazione che può essere testimoniata da due situazioni emblematiche. La prima è un dato pubblicato un po’ di tempo
fa da Aite Group. Secondo la società di consulenza i robot trader, a livello mondiale, gestiscono oltre il 66% del controvalore
degli scambi globali sull’azionario cash. Il numero è importante in quanto è l’indizio della pervasività di sofwtare e algoritmi
nel trading. Un mondo dove l’intervento umano, spesso e volentieri, finisce sullo sfondo.
Il passaggio della Mifid1
La seconda sitazione emblematica, invece, è costituita dall’entrata in vigore nel 2007 della Mifid1. La direttiva, tra le altre cose, ha stabilito il superamento della cosiddetta “concentrazione degli scambi”. Cioè: la regola secondo cui, in linea di massima, il titolo collocato sulla Borsa (tradizionale) può essere scambiato con
i massimi requisiti di trasparenza ed efficienza solo su quel listino. Il passaggio è importante. Ha dato il via libera, adeguando
anche il Vecchio continente al modello anglo-americano di concorrenza tra le diverse sedi di esecuzione, alle piattaforme
elettroniche alternative. Il modello dominante, insomma, è diventato quello dove gli asset finanziari vengono scambiati su
una molteplicità di listini telematici.
Ora è chiaro che, al di là delle recenti novità apportare dalla Mifid2, il binomio indicato consente di comprendere perchè
si parli di habitat favorevole alle “fake news”. La complessità e molteplicità delle sedi di esecuzione, unitamente alla digitalizzazione
della finanza e dell’economia, crea spazi d’azione insperati per chi vuole indurre in errore. Per chi si infila nelle pieghe
dei sistemi tecnologici per sfruttarli a suo piacimento.
Il cinguettio che inganna l’intelligenza artificiale
Una prova? L’ha fornita l’interessante ricerca, realizzata all’interno del progetto UE SoBigData, da un gruppo di scienziati
italiani. Gli esperti, già sentiti dal Sole24ore, hanno analizzato il rapporto tra i social network e i mercati finanziari.
Il campo di analisi era costituito da ben 9 milioni di tweet, lanciati su Twitter, in cui si discuteva di azioni quotate sulle
principali Borse americane. Ebbene gli scienziati in primis si sono resi conto che in molti tweet, in cui erano richiamate importanti società di Wall Street, venivano citati altri
titoli di minore valore (“penny stocks”). Non solo. La ricerca ha portato alla luce un altro aspetto. È stato notato che,
senza una reale giustificazione, tutto ad un tratto questi tweet venivano re-tweettati moltissime volte e in pochissimo tempo.
Un flusso enorme di “cinguettii” opera di robot. Cioè: la valanga di “rilanci” era realizzata da algoritmi. La dinamica,
evidentemente, aveva lo scopo di rendere “interessante” la penny-stock agganciandola a dei titoli più noti. Già, ma a quale
fine? Un’ipotesi molto gettonata, a ben vedere, è la seguente: l’obiettivo è sfruttare l’ecosistema “iper-tecnologico” delle
Borse stesse. I listini, come abbiamo visto, sono attraversati in lungo e in largo da trader automatici. Sistemi che, non
di rado, monitorano anche i flussi di informazioni in arrivo dai social network. Si tratta, spesso, di intelligenze artificiali
in grado di sfruttare i cambiamenti di “umore” degli stessi social. È chiaro che, quando c'è il picco di re-tweet, l’Artificial
intelligence segnala il mutamento. Un cambio di “sentiment” che, ecco il perchè del link con titoli più importanti, non sarebbe
quasi mai percepito rispetto alle azioni minori. Nel caso descritto, invece, le “penny stocks” entrano nel radar dei sofisticati
software. I quali, magari, reagiscono in automatico vendendo o comprando le azioni. Alla fine sfruttando un falso flusso di
tweet, una “fake news”, qualcuno può fare delle plusvalenze ingannando l’intelligenza artificiale (che forse tanto intelligente
non è...)
Lo “spoofing” delle contrattazioni
Ma non è solamente una questione di “cinguettii” o di Artificial intelligence. Ci sono altre situazioni che, sempre agevolate
dalla “iper-tecnologizzazione” dei listini, sono riconducibili allo schema delle “fake news”. Così è, ad esempio, per il cosiddetto
“spoofing”. Si tratta di un’operazione ben precisa, considerata illecita dalla normativa sulla “Market abuse”, che consiste
nell’immettere sul mercato un ampio flusso di proposte di negoziazione tramite sistemi computerizzati. La finalità? Quella
di creare delle informazioni fittizie (“fake news”) per orientare a piacimento le contrattazioni. Facciamo un esempio. Ipotizziamo
che il soggetto A voglia comprare un titolo la cui quotazione è però per lui troppo alta. A fronte di ciò A, dotato di un
sistema di trading ad alta frequenza, “spara” nel book di contrattazione di quel titolo una valanga di proposte di negoziazione
di vendita. Proposte, si badi bene, appena superiori a quella migliore presente sul mercato per evitare l’eventuale loro
immediata esecuzione. Orbene: in un simile contesto i “tradizionali” investitori, vedendo la “finta” pressione ribassista,
sono spinti a vendere. Così facendo, mentre il soggetto A ritira in un millisecondo le sue proposte di cessione del titolo,
le quotazioni realmente calano. A questo punto A potrà, dopo che il prezzo del titolo è calato, acquistare realmente l’asset
al valore da lui voluto. Insomma: una”fake news”, il falso flusso in vendita, consente ad A di comprare al livello che lui
desidera.
Gli esempio di “fake news” potrebbero, a ben vedere, continuare. Al di là, però, dei singoli casi descritti è per l’appunto
chiaro come l’innovazione tecnologica della struttura dei mercati abbia il suo lato oscuro. Certo: l’evoluzione dei listini,
sostengono in molti, ha comportato maggiore efficienza, trasparenza e minori costi nelle contrattazioni. Inoltre la trasformazione
delle Borse è andata di pari passo con la più ampia digitalizzazione della società.
Ciò detto, però, non può negarsi che quello delle cyber “fake news” in Borsa è un tema troppo spesso dimenticato. Le autorità
di vigilanza e il legislatore hanno stretto le maglie. In tal senso può ricordarsi la stessa direttiva sulla “Market abuse”.
Oppure i vincoli posti da Borsa italiana agli Hft nella gestione delle proposte di negoziazione. O, ancora, i controlli e
i regolamenti definiti dalla Sec. Ma tutto questo non basta. Quando il sistema in sé “agevola” certi meccanismi il rischio
è che il ladro sia sempre due passi davanti alle guardie.
© Riproduzione riservata