Economia

Dissequestrato il Centro Eni di Viggiano in Basilicata

  • Abbonati
  • Accedi
inchiesta petrolio

Dissequestrato il Centro Eni di Viggiano in Basilicata

La Procura di Potenza ieri mattina ha deciso il dissequestro del Centro oli dell’Eni a Viggiano, bloccato dal 31 marzo per l’inchiesta sulla vicenda dei giacimenti Eni della val d’Agri, per quelli della Total a Tempa Rossa e per i lavori alla raffineria di Taranto che vi sono correlati. I due mesi di fermata degli impianti petroliferi hanno prodotto danni economici consistenti alla Basilicata, che perde una fetta importante di royalty con le quali finanziare le politiche sociali e culturali della regione, danni alle imprese dell’indotto petrolifero, rimaste senza commesse, danni ai dipendenti senza lavoro, e danni all’Eni, che ha dovuto fermare l’attività e lasciare in cassa integrazione un gran numero di persone. La magistratura ha deciso di consentire la ripresa dell’attività sulla base di un progetto proposto dall’Eni per ritoccare gli impianti in modo da poter assecondare le esigenze dei periti della procura sulla definizione di rifiuto.

Ed è proprio una questione finissima di definizioni giuridiche il motivo del blocco. Dai giacimenti Eni della val d’Agri si estrae non solamente il metano e il petrolio (in media 75mila barili al giorno, pari a circa 12 milioni di litri) ma anche ingenti di acque “di strato”, cioè quell’acqua geologica che nel giacimento ha dormito mescolata con il petrolio per milioni di anni.

Ripulita dal greggio e dal metano, quell’acqua può essere riniettata nel giacimento da cui era venuta, là dove era rimasta per ére geologiche. Lo consente l’autorizzazione. Ma l’Eni rimetteva nelle profondità remote del sottosuolo, e spediva il sovrappiù al depuratore di Pisticci, l’acqua mescolata con tracce impercettibili delle sostanze che erano state usate per ripulirla dal petrolio, come un innocuo glicole e un’ammina. Rifiuti pericolosi, avevano classificato i periti della Procura, e perciò smaltimento abusivo di rifiuti: così sequestro dell’impianto, del depuratore di Pisticci, del giacimento.

A nulla erano valsi gli studi ponderosi e le perizie di eminenti scienziati presentati dall’Eni al Tribunale di riesame di Potenza: sequestro confermato. E difatti la compagnia dopo la decisione del Riesame s’era appellata anche alla Cassazione. Il 20 maggio l’Eni ha presentato una proposta di adeguamento dell’impianto di Viggiano, dividendo bene i flussi e facendo in modo che sparissero le tracce della pulizia delle acque geologiche.

La Procura ha sottoposto il progetto ai periti, i quali martedì hanno detto che così, sì, non si tratta più di rifiuti pericolosi e quindi via libera al dissequestro temporaneo. Ora serviranno circa tre mesi per adeguare il Centro oli e riavviarlo con il nuovo ciclo di separazione fra acque e petrolio; se sarà tutto in regola, il dissequestro diverrà definitivo. L’Eni ieri ha ribadito di voler «continuare a fornire la massima collaborazione alla magistratura nell’interesse che possa essere fatta quanto prima chiarezza sulla vicenda, in attesa del giudizio da parte delle autorità giudiziarie che Eni confida potrà chiarire la correttezza del proprio operato».

L’indagine era partita proprio dalla classificazione delle acque “di strato”, se rifiuti pericolosi o no, e poi si è allargata su altri filoni: le emissioni in aria degli impianti di Viggiano, le relazioni di “lobby” che avevano interessato il fidanzato dell’allora ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi (la quale si dimise), per il progetto di sfruttamento dei giacimenti Total di Tempa Rossa e le opere marittime correlate nel porto di Taranto, e infine ancora relazioni lobbistiche nelle opere marittime nel porto siciliano di Augusta. Il filone di Augusta ora è sotto esame per stabilire se la competenza spetta non alla Procura di Potenza bensì a Roma.

© Riproduzione riservata