Economia

Il packaging rilancia sugli Usa

  • Abbonati
  • Accedi
l’italia che innova

Il packaging rilancia sugli Usa

È già oggi il primo mercato per i costruttori italiani di macchine per il packaging, ma gli Stati Uniti con una domanda di tecnologie made in Italy prevista in crescita di almeno cinque punti l’anno, da qui al 2020, e di fronte al rallentamento dei flussi verso le economie asiatiche torna a essere in cima all’agenda strategica della packaging valley emiliana.

Tra Bologna e Modena si concentra il 63% dei 6,2 miliardi di fatturato 2015 del comparto su base nazionale, di cui 5 miliardi (ossia l’81%) costituiti da esportazioni. E gli Stati Uniti, con 472 milioni di export, sono in assoluto il primo Paese di sbocco per le nostre tecnologie (la Francia, secondo mercato, vale il 30% in meno). Anche se noi italiani restiamo eterni secondi dietro ai competitor tedeschi (che hanno esportato oltreoceano per 643 milioni di euro lo scorso anno), nonostante una crescita record del 18,6% nel 2015 e un trend medio del +7% l’anno di vendite a clienti Usa dal 2011 a oggi.

LA LEADERSHIP ITALIANA
I principali esportatori di macchinari per il packaging negli Stati Uniti

Si spiega perciò la presenza massiccia di aziende italiane di macchine per il confezionamento e imballaggio a Pack Expo, la più importante rassegna internazionale del settore in America, oltre 2.500 espositori e 120mila mq di spazi occupati nel quartiere fieristico di Chicago. Dove è raccolto da due giorni tutto il mercato americano della packaging machinery – 6,8 miliardi di euro di business nel 2015 (circa 7,5 miliardi di dollari) di cui 2,5 miliardi derivati da importazioni – per un’edizione record, afferma PMMI, l’associazione statunitense di settore. E dove 70 imprese con il tricolore stanno presentando le innovazioni d’avanguardia della R&S italiana e altre dieci realtà espongono all’interno della collettiva organizzata da Confindustria-Ucima, che grazie al supporto di Ice è presente con tre stand e ieri sera ha illustrato la ricerca commissionata a Euromonitor International sulle opportunità e la percezione del packaging italiano negli Usa.

Uno studio - condotto su un panel di multinazionali americane del food & beverage come CocaCola, McCain, Wrigley, Cargill – che da un lato conferma le ottime prospettive di sviluppo oltreoceano per l’automazione di processo, dato che il 67% delle big company americane prevede la sostituzione di macchinari nei prossimi due anni (puntando su maggiore automazione, sostenibilità e digitalizzazione); dall’altro lato certifica però un appeal sottostimato delle nostre tecnologie e dei nostri marchi rispetto alla concorrenza. Non solo quella tedesca, ma anche - e soprattutto - quella americana: il 57% dei grandi clienti statunitensi di impianti per il packaging cerca prodotti costruiti in patria, pur riconoscendo a tedeschi e italiani una superiorità tecnologica. Se anche giochiamo alla pari con la Germania per qualità, affidabilità e durata delle macchine, noi scontiamo però una minore brand awareness e un basso livello di servizio e ricambistica in loco, è il neo che rilevano i clienti Usa.

«Il nazionalismo e protezionismo degli americani è spiccato e rischia di rafforzarsi ulteriormente con la vittoria di Trump, che seguiremo come otto anni fa dal vivo, qui in fiera – commenta il presidente di Ucima, Enrico Aureli – e lo conferma il fatto che anche a Pack Expo noi stranieri possiamo scegliere le aree espositive solo dopo che anche la più piccola impresa americana ha individuato il suo spazio». Un motivo in più per fare acquisizioni negli States, come molti imprese del packaging hanno fatto. «Gli Stati Uniti sono un mercato sempre più strategico – conclude Aureli – per l’ampiezza, la solidità e le regole scritte e rispettate da tutti. Non è un caso se di imprese cinesi se ne vedono poche nelle corsie di Pack Expo». E la ricerca Euromonitor conferma la pessima percezione e il minimo interesse delle multinazionali Usa per le macchine cinesi.

© Riproduzione riservata