Resta il segno più, ma affiancato da piccoli numeri, nelle previsioni per l'anno in arrivo. Numeri ancora troppo piccoli e tali da non smussare le forti preoccupazioni delle imprese che da tempo agognano una più netta inversione di tendenza. Per Srm, la Società di studi e ricerche sul Mezzogiorno di Intesa San Paolo, i «segnali di ripresa dell’economia campana che si erano manifestati già nella seconda metà del 2015, dopo anni di intensa crisi, proseguono con la medesima intensità anche nel 2016, con una crescita del Pil stimata di circa mezzo punto percentuale».
Risultati che, sempre secondo l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, sono supportati dalla ripresa dei consumi (nel 2016 un +0,9%) e da un «positivo trend delle esportazioni (a valori correnti) che hanno registrato +2,2% nel terzo trimestre del 2016 rispetto all’analogo periodo del 2015». In sintesi, secondo Srm, l’economia regionale è cresciuta poco nel 2016 e lo stesso ritmo si riproporrà nel 2017. Il trend del nuovo anno è riassumibile in quattro dati: +0,6 di Pil, +0,5 per i consumi delle famiglie, +0,6 per gli investimenti lordi e +2,5 per le esportazioni. Un trend legato ancora a troppi zero, perché si possa parlare di vera ripresa.
«Le aspettative sono alte, ma per il momento non trovano riscontro - commenta il presidente di Confindustria Campania, Costanzo Jannotti Pecci -. Il dialogo con le istituzioni, in particolare con il presidente della Regione non è mai partito: da oltre un anno attendiamo un incontro con il governatore. E oggi problemi antichi restano irrisolti, mentre stenta a partire la macchina della spesa dei fondi europei. Avremmo bisogno di un forte slancio che non c’è stato». Bocciatura delle politiche messe in atto dalla Regione guidata da Vincenzo De Luca? Non proprio. Ma forti preoccupazioni sì. E nel frattempo gli industriali campani chiedono maggiore concertazione e un’accelerazione.
Tema caro a De Luca, quello dello snellimento: il governatore a pochi giorni dall’insediamento della sua giunta, nell’estate 2015, ha varato una legge, poi approvata anche dal consiglio regionale, sullo snellimento delle procedure amministrative e per l’istituzione di uno Sportello unico per le attività produttive che - prometteva - avrebbe consentito in soli tre mesi di rilasciare autorizzazioni per nuovi investimenti. Ma lo sportello ancora non è attivo.
Si parla di problemi antichi e si fa riferimento a un Piano cave, a esempio, atteso da oltre dieci anni, i cui ritardi hanno paralizzato il settore costringendo le imprese a comprare materiali da costruzione in altre regioni. E di problemi nuovi poiché dei bandi per l’assegnazione dei fondi europei della programmazione 2014-2020 ne sono partiti solo una decina. Problemi nuovi anche perché alla vigilia di Natale tra le pieghe del bilancio regionale si è scoperta la triplicazione dei canoni di concessione di acque da imbottigliare, mentre è stato stralciato un analogo provvedimento sulle acque per uso termale.
La Regione, dal canto suo, snocciola un elenco di provvedimenti adottati, in alcuni casi anche prima di altre regioni italiane. In realtà l’assessorato regionale di Amedeo Lepore ha predisposto alcune leve di sviluppo che potrebbero dare effetti nel corso del prossimo anno. Pochi giorni fa, a esempio, sono stati sottoscritti cinque contratti di sviluppo campani che assegnano contributi per 180 milioni a fronte della assunzione di 2.400 persone. Alla Campania è andata una fetta consistente dei dieci contratti firmati prima di Natale. Ne sono beneficiarie questa volta, per lo più imprese locali, come Garofalo, Besana, La Doria, Cartiera Confalone. E una multinazionale come Ge Avio, Poco prima era stato firmato anche il contratto di sviluppo di Nestlè per un nuovo investimento in provincia di Benevento.
In realtà, ci sono ancora circa 40 domande di contratti di sviluppo (per lo più di pmi consorziate) in attesa di valutazione. Ma perché Invitalia (che peraltro ha una consistente dotazione di risorse) possa avviarne l’esame si attende la definizione di un accordo quadro tra Regione e ministero dello Sviluppo. La Campania, su questo fronte, è in ritardo rispetto ad altre regioni meridionali.
Le leve attivate non mancano, insomma, ma la loro operatività resta da venire. È storia degli ultimi mesi anche l’istituzione di un gran numero di “aree di crisi non complesse”, in altri termini aree da reindustrializzare, presenti in tutte le cinque province campane, a cui sono riconosciute agevolazioni finanziarie e normative. E poi sono state individuate e proposte al governo le “zone economiche speciali” nei porti di Napoli e Salerno, negli interporti di Nola e Marcianise, a Bagnoli e Napoli Est. A quest’ultima area del capoluogo sono stati assegnati cospicui finanziamenti anche nell’ambito del Patto per la Campania (da 9 miliardi) che era stato firmato con l’ex premier Matteo Renzi. Su Bagnoli si riaddensano non poche nubi, se mai erano scomparse: dopo una forte accelerazione che era costatata tra l’altro un aspro conflitto tra governo e Comune, il cronoprogramma segnala non pochi ritardi. E poi non si devono dimenticare gli sgravi fiscali per chi assume, complementari a quelli concessi dal governo, per assicurare sempre la misura del 100%. E il credito d’imposta per gli investimenti, anche questo in aggiunta al provvedimento di carattere nazionale. Oltre alla legge su industria 4.0 che punta a sostenere gli investimenti e favorire il raccordo tra industria, ricerca e formazione.
La scelta di adottare misure di sostegno allo sviluppo in raccordo con gli strumenti adottati dal governo è stata peraltro apprezzata. «Una strada giusta - ha commentato molte volte in passato il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia - poiché Confindustria crede in una sola politica economica». Predisposte le leve, insomma, ora non resta che attivarle: solo allora la Campania riuscirà a lasciarsi alle spalle anche gli “zero virgola”.
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