L’investimento da 14 milioni di euro inaugurato ieri da B.Braun Avitum a Mirandola, nel cuore del distretto biomedicale modenese, è solo uno step di un percorso che la casamadre tedesca B.Braun - colosso farmaceutico da 6,4 miliardi di euro di ricavi e 58mila dipendenti – ha aperto nel 1992, anno dello sbarco nella plastic valley, e che nei prossimi quattro anni porterà altri 11 milioni di risorse tra laboratori di R&S, nuove aree produttive e impiantistica hi-tech. Per arrivare nel 2020 a raddoppiare fatturato e occupazione sul territorio rispetto ai numeri che B.Braun registrava quando le scosse del 2012 distrussero la fabbrica. Ricostruita in sette mesi e diventata l’esempio della rinascita industriale nel cratere emiliano.
«Festeggiamo il quarto di secolo, ma la prospettiva è traguardare i cent’anni», assicura l’amministratore delegato di B.Braun Avitum Italia, Francesco Benatti, tagliando il nastro di una seconda camera bianca di 800 metri quadrati che porta a 1.600 mq l’area produttiva specializzata, un investimento a regime di oltre 6 milioni tra muri e macchinari, che si somma ai precedenti interventi (altri 6 milioni) portati avanti dopo il terremoto e ai prossimi 11 focalizzati su innovazione scientifica e tecnologica nei sistemi per dialisi e aferesi.
Un totale di 25 milioni di risorse autofinanziate che fanno dei 15mila mq di stabilimento modenese il centro di eccellenza mondiale della casamadre nella ricerca, sviluppo e fabbricazione di dispositivi per la circolazione extracorporea del sangue e per la nutrizione enterale , prodotti per i due terzi destinati ai mercati esteri. «Siamo passati dai 45 milioni di euro di fatturato 2011 ai 63 milioni nel 2016 e da 161 a 268 dipendenti, tutte assunzioni a tempo indeterminato. Grazie agli ulteriori investimenti - racconta Benatti – puntiamo ad arrivare nel 2020 a 86 milioni di ricavi e 360 addetti, di fatto raddoppiando le dimensioni».
Numeri che confermano il rapporto radicato con Mirandola del gruppo di Meldungen, «una gagliarda anzianotta tedesca con 175 anni di storia ancora in mano alla famiglia Braun - sottolinea l’ad – che è la più italiana delle multinazionali presenti nel distretto e qui continua a scommettere». In virtù della filiera ad alta specializzazione concentrata nel cluster - 100 imprese, 5mila addetti, quasi un miliardo di giro d’affari – un unicum in Europa capace di richiamare e trattenere big globali come LivaNova, Medtronic, Baxter. Nonostante l’isolamento del territorio, a oltre un’ora di auto da Bologna, perché della Cispadana (l’autostrada di collegamento tra A22 e A13) si parla dal fascismo ma di ruspe neppure l’ombra.
«Per il biomedicale non è un bel periodo, il mercato interno soffre – commenta il presidente di Assobiomedica, Luigi Boggio - e gli investimenti in R&S e studi clinici sono crollati del 25%. Qui a Mirandola, invece, si continua a crescere grazie a export e innovazione». I dati della Cdc di Modena confermano: nei primi nove mesi del 2016 la quota di export sul fatturato dell’industria biomedicale è schizzata dal 54 al 70%. «B.Bruan e Mirandola devono essere oggi un modello per l’Italia centrale distrutta dal sisma: ci può essere sviluppo dopo l’emergenza e crescita dopo la ricostruzione», sottolinea l’assessore a Formazione, ricerca e lavoro dell’Emilia-Romagna, Patrizio Bianchi. Annunciando il progetto di raddoppiare gli spazi dell’hub europeo per la ricerca che ha preso vita nel distretto tre anni fa tra tecnopolo, Its, fablab e incubatore.
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