A pochi giorni dal termine per la presentazione delle offerte definitive, si accende il dossier per la cessione dell’Ilva in amministrazione straordinaria. La scadenza è fissata per il 3 marzo, poi serviranno circa 30 giorni (salvo proroghe) per l’analisi dei piani prima dell’aggiudicazione definitiva e della cessione, che sarà perfezionata entro l’autunno. Che si tratti di una partita strategica per il Paese lo conferma anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.
«Dobbiamo augurarci che quanto prima si faccia questa gara – ha detto ieri il numero uno di viale dell’Astronomia – e intervenga un partner privato che possa coniugare, come ultimamente si sta indicando, le ragioni economiche e le ragioni della salute. Non entriamo nel merito, c’è una gara aperta. Siamo equidistanti dalle cordate» ha specificato Boccia, ribadendo che Ilva è «un asset importante non solo per la Puglia ma a livello nazionale, perché un’Ilva competitiva e forte rende competitivi pezzi importanti dell’industria italiana».
Si alza, intanto, il livello del confronto a distanza tra i due gruppi stranieri, ArcelorMittal e Jindal south west, leader delle due cordate contrapposte in gara (Am Investco Italy e AcciaItalia). A innescare la miccia, all’inizio della settimana, è stato Geert Van Poelvoorde, ceo di ArcelorMittal europe per i prodotti piani; nel motivare la validità della proposta del proprio gruppo su Taranto ha elencato i limiti della realtà industriale contrapposta: «Jindal – ha detto – ha una dimensione produttiva limitata e circoscritta al mercato indiano, ha poca esperienza di acquisizioni e nessuna presenza in Europa». ArcelorMittal punta a una produzione a caldo di 6 milioni, ai quali aggiungere 2 milioni da laminare provenienti da altri impianti. L’occupazione sarà di conseguenza «adeguata ai livelli produttivi» (l’Ilva è strutturata per produrre 10 milioni di tonnellate). Nessuna apertura, infine, sulla possibilità di produrre acciaio con preridotto (quindi con meno emissioni, riducendo l’apporto di carbon coke), prospettiva contemplata dalla cordata contrapposta.
Ieri la replica del chairman di Jsw, Sajjan Jindal, dalle pagine del Sole 24 Ore. L’imprenditore indiano ha confermato che «l’utilizzo di gas è una realtà tecnologica applicata da tempo nelle nostre acciaierie in India. Chi è ostile al preridotto – ha detto –, è ostile perché non lo sa utilizzare e non lo sa implementare nelle acciaierie». Per Jindal, (che ha citato anche le sinergie con i giapponesi di Jfe, azionista di minoranza di Jsw) l’effetto di questa scelta «sarà dirompente per gli standard europei di produzione dell’acciaio». Jindal punta a produrre «tra i 10 e i 12 milioni di tonnellate all’anno, 6 con il ciclo integrale, e altre 4-6 tonnellate con l’ibridazione, attraverso forno elettrico alimentato con cariche di preridotto (l’acronimo inglese è Dri: direct reduced iron)». Per ottenere questo obiettivo Sajjan Jindal dice di essere pronto «a investire diversi miliardi di euro». Ilva, aggiunge Jindal, «rappresenterebbe l’unico investimento in Europa e quindi lo dovremmo sostenere, senza fermarci alla prima difficoltà o in seguito a mutamenti della congiuntura economica, perché sarà il nostro asset strategico sul mercato europeo».
Ieri la controreplica di ArcelorMittal, ancora nella persona di Van Poelvoorde. «Siamo sorpresi – ha detto – dal fatto che Sajjan Jindal creda fattibile che Ilva possa essere competitiva utilizzando il gas naturale e il Dri». ArcelorMittal ha sottolineato in una nota ufficiale di avere «il posizionamento migliore per emettere un giudizio qualificato relativamente a quale tecnologia possa essere adatta per Ilva. Nonostante siamo consci che molti vorrebbero sentirsi dire che ciò è possibile, la nostra esperienza ci insegna il contrario: se Ilva vuole avere un futuro sostenibile e redditizio deve diventare più competitiva e questo in Europa non è possibile con l’utilizzo di gas naturale o di Dri per quanto concerne i piani». In questo mercato, sempre secondo il ceo di ArcelorMittal «la qualità e la purezza del metallo sono cruciali, ancora di più dal momento che la nostra ambizione per Ilva è inserirla all’interno dei mercati ad alto valore aggiunto, come l’automotive».
I vertici di ArcelorMittal hanno ricordato che il gruppo è al lavoro «su di un processo tecnologico in grado di minimizzare l’uso del carbone nella produzione», un percorso che però «richiederà anni per essere portato a termine; nel frattempo il carbone continuerà a essere necessario per realizzare acciaio di alta qualità. Detto questo – hanno concluso – comprendiamo il bisogno di migliorare le performance ambientali di Ilva e ci stiamo impegnando in questo senso».
Di diverso tono il commento del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, da sempre sostenitore della necessità di decarbonizzare la produzione Ilva. «Abbiamo letto l’intervista, importantissima, di uno dei due competitor che vorrebbero acquistare Ilva – ha detto ieri commentando l’articolo del Sole 24 Ore – e tutte le bugie che sono state dette in passato sulla decarbonizzazione sono saltate in un lampo. Abbiamo conseguito una vittoria politica straordinaria, ci auguriamo sia accolta anche dal Governo».
In realtà, a conti fatti, entrambe le cordate intendono produrre gli stessi prodotti con gli stessi 6 milioni di tonnellate a ciclo integrale, al massimo dei limiti consentiti dall’Aia (oggi lo stabilimento commissariato è a quota 5,8 milioni). La differenza sta nelle scelte di output aggiuntivo dei due concorrenti. Am Investco Italy aggiungerà 2 milioni di bramme da laminare. AcciaItalia promette, almeno sulla carta, un livello produttivo maggiore, installando magari un forno elettrico alimentato in parte a preridotto, al quale affiancare un paio di linee Esp (il processo, brevettato, con il quale Arvedi produce coils da forno elettrico).
La procura di Milano ha intanto chiuso l’inchiesta a carico di Adriano Riva e dei nipoti Fabio e Nicola, indagati per bancarotta. La chiusura arriva dopo che il Gip di Milano ha respinto il patteggiamento. Ora potranno tentare nuovamente.
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