Dopo la richiesta di sospendere le attività, arrivata dalla Regione Basilicata nei giorni scorsi, l’Eni ha deciso la chiusura temporanea del Centro Olio Val d’Agri, dando di conseguenza avvio alle procedure per il fermo dell’impianto. Tale decisione – si legge in una nota diffusa dal gruppo – è stata presa per rispetto delle posizioni espresse dal territorio, dal Presidente della Regione Basilicata e dalla Giunta Regionale. Eni aggiunge di aver adempiuto a tutte le prescrizioni imposte dagli enti competenti che sono sempre stati tenuti informati sulle attività di intervento e di monitoraggio ambientale in corso.
Durante la chiusura Eni proseguirà con le verifiche necessarie a rassicurare gli stakeholder sulla correttezza ed efficacia del proprio operato, l'integrità dell'impianto e la presenza di tutte le condizioni di sicurezza per lo svolgimento delle attività di esercizio.
La richiesta della Regione Basilicata è stata motivata dall’inquinamento di idrocarburi policiclici aromatici, manganese e ferro riscontrato nell’area circostante all’impianto dopo i controlli effettuati dai tecnici dell’Agenzia regionale per l'ambiente. Il Centro Olio lavora il greggio estratto nei giacimenti della Val D'Agri e, come accaduto un anno fa, quando la produzione fu fermata a fine marzo da un sequestro della Magistratura per un motivo analogo all'attuale, l'impatto potrebbe riguardare di nuovo sia lo stesso Centro che la raffineria di Taranto, che da Viggiano è alimentata con un oleodotto.
A Viggiano lavorano circa 350 unità più un significativo indotto. Esattamente un anno fa, in seguito alla conferma del sequestro da parte del Tribunale del Riesame, cui l'Eni aveva presentato ricorso, e del blocco dell'attività, la società agì su tre versanti: un piano di cassa integrazione per gli addetti in esubero, la ricollocazione di una parte del personale in altre attività aziendali, la sospensione degli ordini di lavoro con tutti i fornitori. Ci fu poi un ricorso in Corte di Cassazione dove l’Eni, in merito alla contestazione mossa dalla Magistratura, disse che “la reiniezione dell'acqua di strato è una best practice internazionale” e s’impegnò a individuare soluzioni alternative, mentre il 10 agosto il gip di Potenza dissequestrò l'impianto. Seguì due giorni dopo il riavvio del Centro Olio da parte della società con la progressiva riapertura dei pozzi collegati.
Ma lo stop di Viggiano ebbe una ripercussione anche su Taranto. Niente cassa integrazione per i circa 450 addetti diretti della raffineria ma l'Eni dovette affidarsi al rifornimento di greggio via nave per alimentare lo stabilimento pugliese. Ogni mese, per tutto il periodo della fermata, sono attraccate al pontile della raffineria tre-quattro petroliere scaricando complessivamente 260mila tonnellate di greggio. L'uso delle navi in alternativa all'oledotto che parte da Viggiano fu infatti la soluzione individuata per tenere egualmente in produzione Taranto, non privare l'area meridionale dell'approvvigionamento assicurato dalla raffineria ed evitare ulteriori contraccolpi occupazionali dopo quelli della Basilicata. La struttura di Viggiano fornisce a Taranto 80mila barili di greggio al giorno, pari al 60 per cento dell’attività, quota che viene a mancare con l’interruzione dell’attività.
Come emerso nel vertice nella Prefettura di Potenza, la Regione Basilicata, che aveva già contestato uno sversamento dai serbatoi del Centro Olio, sostiene che la contaminazione si è allargata agli affluenti del fiume Agri. Di qui la richiesta alla società di applicare le misure di emergenza contenute nelle prescrizioni regionali (il governo lucano contesta all’Eni di essere in ritardo nell’adozione) e di proseguire nelle attività di caratterizzazione per una puntuale bonifica dell’area.
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