Nella due giorni di accoglienza milanese dell’ex presidente Barack Obama, dall’interscambio Italia-Usa arrivano numeri interessanti. Riguardano l’export di prodotti made in Italy nel ricco mercato statunitense. Alcuni esempi: Assolatte segnala che sulla scia del boom della pizza italiana negli Usa, le vendite di mozzarella italiana sono volate del 31,7% nell’ultimo anno, surclassando il tradizionale formaggio cheddar.
Restiamo in ambito formaggi: sempre ieri l’Alleanza delle cooperative italiane segnalava che nel 2016 l’Italia ha esportato negli Stati Uniti 34.894 tonnellate di formaggi (+8%), superando - come è già accaduto per il vino - l’export della Francia. In particolare le vendite di Grana padano crescono dell’8,4%, quelle del Parmigiano reggiano del 6%. Non poco visto che sono i formaggi più copiati dall’industria casearia americana. Infine un’analisi targata Coldiretti spiega che lo scorso anno l’export agroalimentare italiano negli Stati Uniti ha raggiunto il record storico, con un valore di 3,8 miliardi e una crescita del 73% negli ultimi otto anni.
Tutti questi traguardi sono senza dubbio anche il frutto del grande impegno che Ice, Governo italiano, ministeri dello Sviluppo economico e delle Politiche agricole, Federalimentare e associazioni di categoria hanno compiuto negli ultimi cinque anni. È anche alla luce di questo importante sforzo che due giorni fa la stessa Ice ha annunciato l’accordo con la più grande catena distributiva statunitense - Walmart - per vendere nei centri commerciali prodotti del vero Made in Italy agroalimentare. E che gli Stati Uniti siano il mercato di riferimento per quote importanti del nostro export lo sottolinea l’analisi di Confindustria sul “Bello e fatto bene”. Rilevando tuttavia anche i fattori critici che rallentano un potenziale enorme. Come appunto la scarsa conoscenza delle catene distributive, il basso livello di e-commerce delle nostre aziende o la poca affidabilità di distributori locali multibrand.
C’è tuttavia un rovescio della medaglia in questa giusta corsa all’oro del mercato americano, che rimane il più appetitoso e ricco in termini di spesa e quantità di consumatori. Il rovescio della medaglia è che negli ultimi anni il nostro Paese ha perso quote in mercati per noi storici, come quelli europei con Germania, Francia, Gran Bretagna in testa. Se in settori chiave come la moda o l’arredamento il bello e fatto bene tiene l’incalzare della concorrenza, l’altrettanto vitale settore agroalimentare cede terreno. Guardiamo quindi agli Usa, ma non perdiamo di vista il resto del mondo.
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