Napoli è il Napoli. In pochi altri posti d’Italia, forse del mondo, la storia della squadra e quella della città finiscono fatalmente per incrociarsi come all’ombra del Vesuvio. E a volte succede che la vicenda calcistica coincida con quella politica e sociale della metropoli partenopea, altre che la anticipi. Per dire: negli anni de Le mani sulla città, il sindaco e il presidente del club erano la stessa persona, ’o comandante Achille Lauro. La primavera del Napoli di Maradona ha anticipato di appena due anni quella di Antonio Bassolino: entrambe le stagioni accesero speranze ed entusiasmi in riva al Golfo. Per chiudersi tra polemiche e accuse incrociate.
Oggi il Napoli di Maurizio Sarri è primo in Serie A e si è imposto come modello di bel gioco apprezzato e studiato a livello internazionale. Particolare che fa ancora più sensazione, se consideriamo che il calcio italiano è all’anno zero, dopo la mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali di Russia 2018 e il conseguente terremoto in Figc, con le dimissioni del presidente Carlo Tavecchio.
Esiste ancora un rapporto dialettico tra il club del presidente Aurelio De Laurentiis e la città amministrata da Luigi de Magistris? «La Napoli di oggi, più che il Napoli di Sarri, ricorda quello di Benitez», risponde l’imprenditore Bruno Scuotto, amministratore della Scuotto impianti elettrici e tecnologici e presidente di Fondimpresa, grande appassionato di sport e tifoso azzurro. «Se guardiamo al mondo dell’imprenditoria, abbiamo notevoli individualità in tutti i settori: dalla moda all’alimentare, dal turismo al metalmeccanico. Tuttavia manca il gioco di squadra, gli schemi che, come stiamo vedendo, alla fine fanno la differenza. Abbiamo i Mertens, gli Insigne e i Koulibaly, tutti fortissimi nei rispettivi ruoli, ma ci manca un Sarri, una personalità - prosegue Scuotto - in grado di far dialogare le eccellenze del territorio per il salto di qualità definitivo. Non è tanto un problema di amministrazione, ma più in generale di classe dirigente: serve qualcuno che cambi finalmente le regole del gioco».
Che piaccia o meno, la Napoli calcistica ha trovato in De Laurentiis il primo game changer. Nell’estate del 2004 l’Italia era ancora al centro del sistema globale del pallone, due anni più tardi avrebbe lavato via l’onta di claciopoli con la vittoria del quarto mondiale della propria storia, ma Napoli era lontanissima dal cuore dell’Italia calcistica. La squadra della città, all’epoca guidata dal Centrosinistra del tandem Bassolino-Iervolino, era la più blasonata e insieme disastrata del Mezzogiorno. Così disastrata da arrivare al fallimento, dopo una lenta agonia, iniziata al termine dell’era Maradona e durata quasi dieci anni, tra ripetute cessioni dei calciatori più rappresentativi, scontate retrocessioni in Serie B e iscrizioni in extremis al campionato. Cominciò lì - il 12 agosto 2004, nelle aule di un tribunale fallimentare, con un’offerta da 31 milioni e 250mila euro - la parabola del Napoli di De Laurentiis, produttore cinematografico di grande tradizione familiare, personaggio vulcanico e per questo non sempre amato.Un re “straniero” (originario di Torre Annunziata, ma romano di formazione)che, come fecero i Borbone, ha spostato la capitale del suo regno a Caserta. A Castel Volturno, per la precisione.
Un game changer, appunto, arrivato nel calcio italiano quando ancora era un affare da mecenati con concetti come fair play finanziario e mentalità imprenditoriale, i bilanci in ordine che vengono prima dei risultati sportivi. Anche a costo di vendere i pezzi pregiati. È partito dalla serie C e in quattro anni è arrivato ai vertici della A. La parabola ascendente del Napoli, unica squadra italiana stabilmente iscritta alle competizioni europee da otto anni a questa parte, ha incrociato quella discendente del movimento calcistico nazionale. E quest’anno non ci si nasconde più: l’obiettivo è quello scudetto che manca dal ’90. Si può fare? Obbligatorio chiedere a Maurizio De Giovanni, il giallista che con le saghe del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone ha superato i 2 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Napoletano e grande tifoso del Napoli: «Il pubblico - spiega - ha trovato un punto d’equilibrio rispetto agli sbalzi tra entusiasmi e depressione che l’hanno sempre caratterizzato. La continuità raggiunta in Europa è già un miracolo, se consideriamo che il Napoli non ha alle spalle gruppi multinazionali o fondi finanziari. Sarebbe significativo se il titolo arrivasse quest’anno, perché è un buon momento anche per la città. La formula di De Laurentiis - continua De Giovanni - porta risultati, ma ci sono comunque questioni che restano inevase: non si vedono all’orizzonte scelte precise su stadio e centro sportivo di proprietà, né sul settore giovanile». Quest’ultimo è un tema caro a Giuseppe Bruscolotti, storica bandiera azzurra, campione d’Italia con Maradona: «La Campania offre un bacino molto importante di giovani promettenti. Da qui sono usciti talenti di rilievo assoluto come Donnarumma, il portiere del Milan destinato alla Nazionale del nuovo corso. È un peccato che il Napoli non si sia ancora attrezzato per intercettare promesse di questo livello. Ci riesci se investi sul settore giovanile. Non ci vogliono cifre straordinarie: pensiamo a quello che riescono a fare squadre come l’Atalanta, per esempio. Il problema semmai è che gli investimenti in questione non sempre ritornano».
Emigrano i “campioncini” e spesso anche i talenti creativi. Vedi alla voce Francesco Lettieri, regista 32enne originario dei Camaldoli ma da dieci anni trapiantato a Roma. Ha firmato i video di alcuni tra i maggiori esponenti della scena musicale indie contemporanea, da Calcutta a Thegiornalisti, ma ha soprattutto dato un’identità visiva al progetto Liberato, esperimento in musica rigorosamente anonimo di riappropriazione dell’immaginario napoletano. «Vivere lontano da casa - spiega - mi ha aiutato a fare i conti con la mia città. Il senso di appartenenza ne è uscito rafforzato. Mi sembra un buon momento per Napoli che, rispetto agli anni dell’emergenza rifiuti, ha ritrovato un grande appeal agli occhi dei turisti. Anche grazie al fascino che esercita il Napoli. Certi problemi, in ogni caso, rimangono». C’è il tema della criminalità organizzata che ha ripreso a sparare e quello dell’illegalità diffusa, c’è l’abusivismo che, in habitat calcistico, si traduce nel merchandising contraffatto e nel ritorno alla pay tv «pezzotta». Questioni antiche che, come il mare sporco cantato da Pino Daniele, stanno «semp’ llà». Per voltare pagina servirebbero davvero schemi nuovi. Chissà se Sarri è disponibile.
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