Economia

A Verona un’economia da scudetto, ma si vive come 30 anni fa

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le città del calcio

A Verona un’economia da scudetto, ma si vive come 30 anni fa

«Il vero derby è col Vicenza». A 16 anni dalla promozione in serie A del Chievo, i tifosi di sponda Hellas fanno ancora fatica a scaldarsi quando si parla di stracittadine. Inclusa l’ultima di Coppa Italia, vinta mercoledì dall’Hellas per 6-5 dopo i calcidi rigore. Eppure Verona, meno di 260mila residenti allo scorso marzo, vanta da quasi due decenni il record insolito di una doppia rappresentanza nella massima seria del calcio, fra gli alti e i bassi dell’Hellas e la costanza metodica del Chievo: la squadra che è gestita come un’azienda famigliare da Luca Campedelli, patron dei pandori Paluani e figlio del Luigi che gli lasciò le redini della società quando aveva solo 23 anni.

Le due squadre non rispecchiano l'andamento della città e del suo tessuto imprenditoriale. Ma l'umore di una fetta di veronesi finisce per essere contagiato da quello che succede al Bentegodi, lo stadio locale, testimone dei ricordi e dei dolori di entrambi. I più giovani ricordano l'ascesa del Chievo, la squadra di quartiere salita in A nel 2001 sotto la guida di Gigi Del Neri. Ma neppure due decenni prima era stato l'Hellas, nato nel 1903 fra le aule del liceo Maffei a, guadagnarsi una pagina nella storia del calcio con lo scudetto del 1985. L'ultima provinciale sul tetto d'Italia, 31 anni prima dell'innamoramento collettivo per il Leicester di Ranieri.

Lo scudetto dell’85 e Bagnoli, lo «Schopenahuer della Bovisa»
In campo c'erano Elkjaer e Briegel, sulla panchina Osvaldo Bagnoli: il mister schivo ed efficace che Gianni Brera ribattezzò lo «Schopenhauer» della Bovisa,sintentizzando nel soprannome la sua cupezza riflessiva e il quartiere delle origini a Milano. Bagnoli è rimasto a Verona, parla poco con i media e segue anche meno il calcio: «La città non è diversa da come era 30 anni fa – ci spiega – Quanto a quello scudetto, ho sempre detto che è stato vinto dalla squadra, non solo da me. Poi è vero, c'era un altro modo di giocare».

È cambiato anche il suo Verona, e non esattamente in meglio. Per 11 anni lontano dalla A, l'Hellas è passato da una trafila estenuante di cambi ai vertici. L'attuale presidente, Maurizio Setti, è al timone dal 2013 e vuole «dimostrare che con il calcio si può anche “non perdere”, in termini economici - dice Può suonare strano all'orecchio di un imprenditore, però vi posso assicurare che nel nostro mondo sarebbe già un bel traguardo». Il bilancio 2016-2017 sarà chiuso «lievemente» in positivo. Raggiunta dal Sole, la società del Chievo non ha fornito commenti.
Ricchi e (in)felici
Nel frattempo Verona, intesa come la città, è rimasta uguale a sé stessa. È una provincia benestante, con una retribuzione annua lorda stimata dalla società di ricerca JobPricing intorno ai 31mila euro. Vanta uno dei tassi di disoccupazione più bassi su scala nazionale (5,3%). Il suo territorio ha fatto nascere o attratto su di sé marchi come i tortellini Rana, l'abbigliamento intimo di Calzedonia, i sistemi di riscaldamento di Riello, i supermercati di Eurospin, i pandori di Bauli, per non parlare della filiera del vino (la sola Cantina di Soave, produttrice dell'omonimo bianco, fattura oltre 116 milioni di euro) e della produzione di marmo. È riuscita anche a conservare nel suo polo fieristico alcuni eventi di richiamo internazionale, a partire dal Vinitaly, mentre ogni estate fa cassa con un turismo che capitalizza le bellezze del centro, le cantine della Valpolicella, il lago di Garda e il festival lirico.

Dalla Melegati alla Fondazione Arena, quando la città va in crisi
Oltre alla patina più felice, però, si sono avvertiti i riflessi di una crisi che arriva da ben oltre le «mura di Verona».

Un'industria di dolciumi storica come la Melegatti è finita a un passo dalla chiusura e ora sta correndo contro il tempo per portare ai ritmi calendarizzati la produzione di pandori. Lo stabilimento della Coca Cola Hbc di Nogara, 30 chilometri a sud della città, ha infranto la narrazione della «multinazionale che ama il territorio» con una serie di scioperi e tafferugli nella scorsa primavera. E proprio la Fondazione Arena, l'ente che gestisce il patrimonio di immagine del festival, è da anni una zavorra rimpallata da una giunta all'altra. Il suo problema? Un buco arrivato a pesare decine di milioni, tamponato finora a suon di tagli. All'opera si va, è vero, ma le ultime edizioni del festival si sono aperte di frequente con una platea semideserta, spegnendo la magia degli spot con il tenore Placido Domingo e l'anfiteatro illuminato dalle candele.

La difficoltà di uscire dal passato
Più che altro Verona è una città che fatica a uscire dal suo passato e dalla sua dimensione locale, nonostante la posizione geografica e l'inclinazione imprenditoriale la spingano in tutti i modi verso l'Europa. Come spiega Alessandro Mazzucco, presidente della Fondazione Cariverona ed ex rettore dell'Università locale, Verona sembra a tratti incapace di mettere a frutto «l'enorme potenziale» del suo cuore produttivo. E il problema, neppure a dirlo, è la «conduzione familistica» che intrappola le aziende in una logica di scarso respiro. Un copione letto e riletto quando si parla della crisi del modello Nordest, se si sposta lo sguardo oltre ai dissesti bancari: «Non si è saputo fare il passo da proprietà a managerialità – sospira Mazzucco – Ora però le aziende sono internazionali, vendono all'estero. Basti pensare al vino. La direzione deve essere per forza internazionale».

Governata per quasi mezzo secolo dalla Democrazia cristiana, la città è sempre rimasta statica anche dal punto di vista politico. Nell’utlimo decennio si è afffidata a Flavio Tosi, l’ex enfant prodige della Lega, prima di dare vita a un curioso “derby” a destra nelle ultime elezioni fra Patrizia Bisinella (compagna di Tosi, a grande linea espressione dei moderati) e Federico Sboarina, sponsorizzato da Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia. Ha vinto il secondo e, di fatto, l'equilibrio politico della città non si è spostato granché rispetto alle giunte precedenti. Lo scrittore inglese Tim Parks ha vissuto a Verona per più di 30 anni. In riva all'Adige ha scoperto l'Hellas, futuro protagonista di un romanzo pubblicato in Italia da Einaudi («Questa pazza fede») dove ricostruisce un anno di trasferte al seguito della squadra. «Non ho visto la violenza e l'aggressività di cui parlano tanti e sono rimasto sorpreso della sua fama negativa – ammette – Ma c'è anche da dire che la mia era la percezione di uno straniero». Parks non pensa che la città «soffra» della sua staticità. Forse, il contrario: «Si può anche “gioire” di essere immobili – dice - Se questo vuol dire essere ricchi, come nel caso di Verona».

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