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    Dossier | N. 4 articoliL'algoritmo in azienda. Come cambia il lavoro

    Il potere degli algoritmi : cosa sono, come funzionano e perché servono alle aziende

    (Agf Creative)
    (Agf Creative)

    Se ne parla di continuo, ma li conoscono (davvero) in pochi. Gli algoritmi, in inglese algorithm, sono diventati un ingranaggio fondamentale in qualsiasi settore: possono suggerirci cosa comprare online, programmare turni di lavoro, chattare con passeggeri delusi dalla cancellazione di un volo. Il loro valore è cresciuto in maniera vertiginosa nell'era dell'economia digitale e dei social network, dove tutto sembra amministrabile dalla “mano invisibile” di calcoli matematici. Nel bene o nel male, a seconda di come vengono impostati.

    Cosa vuol dire algoritmo?
    In ambito informatico, con “algoritmo” si intende un insieme di istruzioni che devono essere eseguite per raggiungere un determinato risultato o risolvere un problema. Nella sua forma essenziale si parla di una procedura passo per passo, visualizzabile con la forma di un diagramma ad albero e scandita da step molto precisi. L'espressione è il calco del latino algorithmus, a sua volta derivante da al-Khwarizmi: il nome di un matematico arabo del nono secolo, ritenuto fra i primi a teorizzare il concetto. In origine utilizzato per indicare i procedimenti di calcolo basati su cifre arabe, il termine “algoritmo” è stato poi adottato nella matematica e nella logica moderna, dove indica un procedimento di calcolo descrivibile da un certo numero di formule.

    Insomma, degli schemi di calcolo. Ma quale sarebbe il valore aggiunto? 
    A grandi linee, il valore aggiunto degli algoritmi è la capacità di trovare chiavi di lettura inedite o più sottili fra informazioni già conosciute. Per fare un esempio classico, tra i dati sull’accesso a un portale Web si possono intravvedere i trend sugli orari o la popolarità di certe sezioni, grazie a un lavoro di assemblaggio e analisi dei dati svolto in automatico (e con una rapidità impensabile per gli umani). Come spiega Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio Big data analytics&Business intelligence del Politecnico di Milano, gli algoritmi «scovano correlazioni nascoste che l'occhio umano non può cogliere. Così si possono trovare nuovi fattori esplicativi e fare previsioni sul futuro».

    Sì, ma come e dove si utilizzano in azienda?
    Gli algoritmi sono applicazioni neutre e si applicano a seconda degli input ricevuti. Sotto alla stessa etichetta si possono ricomprendere software che inviano notifiche ai fattorini per una consegna di cibo, trader digitali che investono milioni a Wall Street e browser di ricerca come Chrome. In ogni caso, in ambito aziendale, la funzione più sfruttata è quella di formulare previsioni sul futuro. Vercellis fa gli esempi di una società di retail e di una compagnia telefonica. Nel primo caso un algoritmo può arrivare a stimare la domanda di prodotti (quanti clienti compreranno qualcosa) con una settimana di anticipo, arrivando a un grado di precisione nell’ordine dei 15 minuti. «E così facendo, una società può ad esempio gestire il personale o fissarsi target di vendite - dice Vercellis - Una precisione così sarebbe stata impossibile qualche anno fa». Nel caso della compagnia telefonica, gli algoritmi possono stabilire il tasso di “fedeltà” di un certo cliente e prevederne il passaggio a un’azienda rivale: «E a quel punto, si tratta di avviare una campagna mirata per tentare di conservare l’utente» dice Vercellis.

    Questi sono aspetti positivi. Ma cosa è successo con Amazon e Ikea? Si è parlato di lavoratori «schiavi dell’algoritmo»...
    Anche se le dinamiche e il modello di business sono diversi, in entrambi i casi sono emerse contestazioni su un “uso improprio” degli algoritmi nel monitoraggio degli orari di lavoro. In particolare, nel caso di Amazon, i dipendenti lamentano di essere stati costretti a fare consegne con una tabella di marcia programmata in automatico. Vercellis fa notare, però, che non si può «accusare un calcolo matematico»: gli algoritmi sono modificabili e correggibili a seconda delle criticità emerse. La responsabilità sui loro limiti è sempre di chi li istruisce. «Gli algoritmi sono un prodotto di chi li fa, disegnandoli a seconda dei suoi obiettivi - dice Vercellis - Se registriamo delle anomalie, nulla ci impedisce di intervenire».

    E i rischi quali sono?
    I rischi contestati più di frequente riguardano gli algoritmi abilitati da machine learning: gli algoritmi che hanno la possibilità di apprendere e svolgere in automatico compiti, spingendosi oltre le istruzioni fornite dai programmatori. Un caso attuale è quello delle auto a guida assistita o dei sistemi di trading automatico: all’indomani del referendum per la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, la sterlina è arrivata a oscillazioni vertiginose («Anche del 300%», dice Vercellis) a causa della reazione degli algoritmi di fronte alla turbolenza della giornata sui listini. «Se vogliamo utilizzare algoritmi dotati di questa autonomia, dobbiamo essere davvero dimestici con queste tecnologie - spiega Vercellis - Altrimenti possono essere pericolose, sopratutto per chi si affida a loro».

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