Se ne parla di continuo, ma li conoscono (davvero) in pochi. Gli algoritmi, in inglese algorithm, sono diventati un ingranaggio fondamentale in qualsiasi settore: possono suggerirci cosa comprare online, programmare turni di lavoro, chattare con passeggeri delusi dalla cancellazione di un volo. Il loro valore è cresciuto in maniera vertiginosa nell'era dell'economia digitale e dei social network, dove tutto sembra amministrabile dalla “mano invisibile” di calcoli matematici. Nel bene o nel male, a seconda di come vengono impostati.
Cosa vuol dire algoritmo?
In ambito informatico, con “algoritmo” si intende un insieme di istruzioni che devono essere eseguite per raggiungere un determinato risultato o risolvere un problema. Nella sua forma essenziale si parla di una procedura passo per passo, visualizzabile con la forma di un diagramma ad albero e scandita da step molto precisi. L'espressione è il calco del latino algorithmus, a sua volta derivante da al-Khwarizmi: il nome di un matematico arabo del nono secolo, ritenuto fra i primi a teorizzare il concetto. In origine utilizzato per indicare i procedimenti di calcolo basati su cifre arabe, il termine “algoritmo” è stato poi adottato nella matematica e nella logica moderna, dove indica un procedimento di calcolo descrivibile da un certo numero di formule.
Insomma, degli schemi di calcolo. Ma quale sarebbe il valore aggiunto?
A grandi linee, il valore aggiunto degli algoritmi è la capacità di trovare chiavi di lettura inedite o più sottili fra informazioni già conosciute. Per fare un esempio classico, tra i dati sull’accesso a un portale Web si possono intravvedere i trend sugli orari o la popolarità di certe sezioni, grazie a un lavoro di assemblaggio e analisi dei dati svolto in automatico (e con una rapidità impensabile per gli umani). Come spiega Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio Big data analytics&Business intelligence del Politecnico di Milano, gli algoritmi «scovano correlazioni nascoste che l'occhio umano non può cogliere. Così si possono trovare nuovi fattori esplicativi e fare previsioni sul futuro».
Sì, ma come e dove si utilizzano in azienda?
Gli algoritmi sono applicazioni neutre e si applicano a seconda degli input ricevuti. Sotto alla stessa etichetta si possono ricomprendere software che inviano notifiche ai fattorini per una consegna di cibo, trader digitali che investono milioni a Wall Street e browser di ricerca come Chrome. In ogni caso, in ambito aziendale, la funzione più sfruttata è quella di formulare previsioni sul futuro. Vercellis fa gli esempi di una società di retail e di una compagnia telefonica. Nel primo caso un algoritmo può arrivare a stimare la domanda di prodotti (quanti clienti compreranno qualcosa) con una settimana di anticipo, arrivando a un grado di precisione nell’ordine dei 15 minuti. «E così facendo, una società può ad esempio gestire il personale o fissarsi target di vendite - dice Vercellis - Una precisione così sarebbe stata impossibile qualche anno fa». Nel caso della compagnia telefonica, gli algoritmi possono stabilire il tasso di “fedeltà” di un certo cliente e prevederne il passaggio a un’azienda rivale: «E a quel punto, si tratta di avviare una campagna mirata per tentare di conservare l’utente» dice Vercellis.
Questi sono aspetti positivi. Ma cosa è successo con Amazon e Ikea? Si è parlato di lavoratori «schiavi dell’algoritmo»...
Anche se le dinamiche e il modello di business sono diversi, in entrambi i casi sono emerse contestazioni su un “uso improprio” degli algoritmi nel monitoraggio degli orari di lavoro. In particolare, nel caso di Amazon, i dipendenti lamentano di essere stati costretti a fare consegne con una tabella di marcia programmata in automatico. Vercellis fa notare, però, che non si può «accusare un calcolo matematico»: gli algoritmi sono modificabili e correggibili a seconda delle criticità emerse. La responsabilità sui loro limiti è sempre di chi li istruisce. «Gli algoritmi sono un prodotto di chi li fa, disegnandoli a seconda dei suoi obiettivi - dice Vercellis - Se registriamo delle anomalie, nulla ci impedisce di intervenire».
E i rischi quali sono?
I rischi contestati più di frequente riguardano gli algoritmi abilitati da machine learning: gli algoritmi che hanno la possibilità di apprendere e svolgere in automatico compiti, spingendosi oltre le istruzioni fornite dai programmatori. Un caso attuale è quello delle auto a guida assistita o dei sistemi di trading automatico: all’indomani del referendum per la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, la sterlina è arrivata a oscillazioni vertiginose («Anche del 300%», dice Vercellis) a causa della reazione degli algoritmi di fronte alla turbolenza della giornata sui listini. «Se vogliamo utilizzare algoritmi dotati di questa autonomia, dobbiamo essere davvero dimestici con queste tecnologie - spiega Vercellis - Altrimenti possono essere pericolose, sopratutto per chi si affida a loro».
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