«Vede? Questa valvola è venuta male». Andrea Marigo in realtà non mostra alcun pezzo meccanico. Solo un grafico, simile all’elaborato di un sismografo. Ma è dall’analisi delle vibrazioni anomale delle macchine, per ora indotte artificialmente nella fase di test, che il direttore qualità di Faster trae l’informazione chiave: bloccando per tempo il tornio ed evitando che il prodotto difettoso arrivi al cliente. Per la Pmi lombarda, che genera difetti in una manciata di parti per milione, si tratta di cercare un ago in un pagliaio.
Performance già ottima che ora punta a migliorare con la tecnologia, senza intensificare i controlli manuali a valle. «Il target è migliorare del 30% - dice il manager - e questo sul mercato fa la differenza tra conquistare o perdere una grande commessa».
Non un caso isolato, quello di Faster, piuttosto uno dei tanti esempi dell’industria italiana che cambia, inserendo dosi sempre più massicce di automazione e sfruttando in modo esteso l’ampia disponibilità di dati a disposizione. La “connessione” degli impianti, strada maestra di Industria 4.0, non è però l’obiettivo in sé, piuttosto la precondizione per raggiungere altri target: in termini di controllo, flessibilità, tracciabilità ed efficienza.
Il mondo dell’auto è entrato da tempo in questa dimensione ma uno sguardo all’interno degli impianti evidenzia comunque l’accelerazione e la pervasività dei trend.
A Mirafiori, le linee Fca della Maserati Levante non hanno ancora sfornato due macchine identiche. Tra motori e carrozzerie, plance e sedili, colori e optional, le varianti possibili sono un miliardo. Il tema di fondo è dunque quello di rendere efficiente il “lotto 1”, automatizzando il più possibile le procedure. Così, i 70 robot dell’area della lastratura lavorano incessantemente senza presidio, controllati a distanza da un tecnico dotato di tablet che per via remota riceve ogni informazione utile. Per la manutenzione niente carta ma un video, attivato inquadrando un QRcode a bordo macchina. L’intero processo è guidato dal codice identificativo della scocca, input che da un lato attrezza i robot per le lavorazioni richieste, dall’altro attiva una complessa logistica interna che porta a bordo linea solo ciò che serve nel momento in cui transita la macchina specifica, esattamente nella sequenza richiesta. L’assemblaggio non fa eccezione, con capireparto che ricevono segnali attraverso smartwatch e tecnici che con lo stesso strumento “smarcano” le operazioni effettuate senza uscire dal veicolo, risparmiando tempo ed energie.
Logiche che dai “big” del settore si diffondono anche a monte, nella catena di fornitura, anch’essa obbligata a ragionare in ottica digitale. Partendo da un sito abbandonato, ormai archeologia industriale, la torinese Cecomp ha investito 12 milioni in tecnologia, creando un flusso continuo tra magazzino automatico, taglio laser e presse: per produrre a difetti zero parti di carrozzeria in alluminio dirette a clienti come Aston Martin o Renault. Prodotti perfettamente tracciabili grazie alla codifica prevista per ciascun pezzo. «Il risultato? I clienti apprezzano la nostra strategia e Renault, ad esempio, per il 2018 ha già quasi raddoppiato i volumi richiesti. Ora qui siamo 70 - spiega il ceo Corrado Pistolesi - ma nel 2018 grazie alle nuove commesse arriveremo a quota 100 addetti».
I dati deludenti sulla produttività italiana (tra 1995 e 2016 +0,3% all’anno per noi, +1,6% in Europa) evidenziano come questi percorsi non siano ancora del tutto pervasivi. Da una ricerca Kpmg emerge come solo 13 aziende su 100 abbiano già allocato un budget alle soluzioni 4.0. Importi mediamente limitati, visto che solo il 28% del campione dedicherà a questo capitolo più del 10% dell’importo. L’anzianità media delle nostre macchine utensili è inoltre arrivata al massimo storico di 12 anni e 8 mesi, sintesi eloquente del lungo stop degli investimenti nella nostra industria.
Eppure, entrando nelle fabbriche si vede con chiarezza l’evoluzione in atto, con le aziende impegnate a sfruttare la disponibilità di dati per migliorare la propria competitività. Un esempio è Icam, produttore lombardo di cioccolato, che nel 2010, quando di 4.0 non si parlava neppure nelle tavole rotonde, ha investito 70 milioni per un nuovo impianto interamente connesso. Dalla sala controllo, con pochi click, un operatore decide che cosa produrre. E le macchine si adeguano. «Ogni giorno - spiega il presidente Angelo Agostoni - dobbiamo poter gestire anche 16-18 ricette diverse, il che significa dover riattrezzare gli impianti più volte. Per rispondere alla domanda del mercato ci occorre una flessibilità produttiva estrema, impensabile da raggiungere senza la tecnologia». In sette anni, probabilmente non a caso, i ricavi sono balzati in avanti del 50% così come in crescita, anche se non proporzionale, è l’organico.
Anche Igor, produttore novarese di gorgonzola, ha imboccato con decisione questa strada, dedicando alla “connessione” l’ultimo round di investimenti, quasi 23 milioni. Grazie ai sensori installati è possibile ad esempio campionare in tempo reale e miscelare nelle giuste quantità il latte ricevuto da ciascuno dei 250 fornitori, così come riparametrare rapidamente l’intero processo per avviare in produzione una nuova ricetta. «L’automazione - spiega il ceo Fabio Leonardi -ci permette maggiore controllo e totale tracciabilità del prodotto. Aspetto fondamentale, visto che oggi sui mercati vinci solo con la qualità: Industria 4.0 per noi si traduce in maggiore competitività».
Dunque commesse. Che arrivano copiose anche per la “piccola” milanese Rold, attiva nella componentistica per elettrodomestici. In crescita anche grazie ad un sistema originale di monitoraggio a bordo linea, piattaforma proprietaria in grado di “leggere” l’andamento della produzione segnalando anche via smartwatch agli addetti ogni possibile anomalia. Il focus qui è sulla produttività, con risultati già pienamente visibili. Le azioni attivate grazie alla lettura dei dati (un anno di “storico” è già disponibile) hanno reso più efficienti i processi, con una produttività di fabbrica lievitata del 7% e singole linee ancora più performanti, in grado di migliorare l’efficienza totale del 10%: in dieci mesi anche 300mila pezzi in più. «Lavorando con margini unitari minimi e richieste sempre più sfidanti dalle multinazionali - spiega il chief innovation officer Paolo Barbatelli - questo significa difendere la nostra competitività: le commesse si vincono anche così».
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