Se alla fine degli anni Ottanta nel tormentone di uno spot pubblicitario bastava una telefonata per allungare la vita, all’alba del 2018 è bastato un tweet per alimentare in Calabria la speranza di rinascita dell’area portuale e industriale di Gioia Tauro.
Il 25 gennaio, infatti, il ministro per la Coesione territoriale Claudio De Vincenti ha “cinguettato” la firma del premier Paolo Gentiloni al dpcm per l’istituzione delle zes, le zone economiche speciali, tra le quali Gioia Tauro, nelle quali le imprese potranno beneficiare di speciali condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo territoriale (credito d’imposta per investimenti fino a 50 milioni e semplificazioni amministrative). Firmato il dpcm generale con i criteri, il testo passa alla Corte dei conti, poi arriverà in Gazzetta ufficiale e infine bisognerà pregare che il singolo dpcm per ogni area zes giunga prima delle elezioni politiche del 4 marzo. Per la Calabria, l’estensione massima sarà oltre i 2mila ettari, con una delimitazione cresciuta rispetto a quella prevista inizialmente.
Con i piedi per terra
Chi si sporca le mani ogni giorno per creare lavoro e occupazione riporta tutti alla dura realtà e legge, per come deve essere letta, questa spinta (potenziale) alla ripresa del Mezzogiorno, con i porti protagonisti.
«La zes è una cosa straordinaria per attrarre investimenti anche dall’estero – spiega al Sole-24 Ore Natale Mazzuca, presidente di Unindustria Calabria – ma noi dobbiamo rendere appetibile l’arrivo a Gioia Tauro. C’è invece una precisa strategia politica internazionale, che è la via marittima cinese della seta, che taglia i porti del mediterraneo e privilegia quelli di Venezia e Trieste. Per usare un eufemismo la politica italiana è stata distratta e non ho sentito un solo politico alzare la voce quando ha cominciato a prendere corpo questa prospettiva che parte da Pechino. L’est vuole trasferirsi a ovest anche attraverso i porti ma se si taglia fuori Gioia Tauro dai traffici mondiali quali investimenti internazionali arriveranno? A cosa servirà allora la zes? Gioia Tauro non deve essere più derubricata a problema ma deve diventare una ricchezza strategica per l’Italia».
Mazzuca va oltre e apre il fronte burocrazia. «Le peculiarità della Zes – ricorda – sono principalmente agevolazioni fiscali e burocrazia zero. Si tratta di ottime condizioni che per diventare realmente attrattive per il sistema delle imprese devono essere accompagnate da sinergie concrete tra pubblico e privato ma soprattutto servono specifici uffici, creati ad hoc, preposti solo a dare risposte immediate alle istanze provenienti da aziende che fanno richiesta di insediamento a Gioia Tauro o nell’intera area che rientra nella circoscrizione zes. Non vorrei che si creasse una nuova forma di burocrazia intasata. Quindi risulta fondamentale la governance. Evitiamo ulteriori colli di bottiglia, sprecando ennesime possibilità di sviluppo».
Numeri incerti
Domenico Laganà, segretario generale della Filt Cgil della Piana di Gioia torna sulla burocrazia. «La zes è un’opportunità – dichiara al Sole-24 Ore – se sarà sviluppata per quello che il mercato chiede. Non ci serve più un porto fine a se stesso ma in sinergia con l’area industriale. Cito Tangeri che ha un porto che in forma diretta e senza tanti fronzoli chiede alle imprese: di cosa avete bisogno affinché questo scalo possa garantirvi ininterrottamente e senza problemi 15 o 20 anni della vostra attività? In un quinquennio il porto di Tangeri ha così avviato nell’area retroportuale circa 300 attività».
E nell’area di Gioia quante sono le imprese? Il Sole-24 Ore lo ha chiesto a Rosaria Guzzo, commissario straordinario del Consorzio regionale per lo sviluppo delle attività produttive (Corap), istituito il 29 giugno 2016, che accorpa gli ex consorzi Asi di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Vibo e Reggio. «In questo momento – dichiara Guzzo – siamo molto impegnati nel dare attuazione a quello che prevede l’istituzione della zes anche in Calabria».
Così bisogna rifarsi a numeri datati di fine 2015 che certificano il deserto: all’interno della gigantesca area retroportuale della Piana di Gioia Tauro erano attive 43 aziende nelle tre aree industriali, in prevalenza appartenenti ai settori agroalimentare, logistica, meccanica e commercio. Sono 85 i lotti già assegnati nell’area, per una superficie coperta di appena 155,7 ettari.
Passi indietro
Il porto di Genova ha superato nel primo semestre 2017 (ultimo periodo a disposizione confrontabile) quello di Gioia Tauro per numero di container movimentati. Da gennaio a giugno del 2017 nel capoluogo ligure sono stati movimentati 1.283.564 teu (la misura standard di volume nel trasporto dei container, che corrisponde a circa 40 metri cubi totali). Quelli forniti a Confindustria Reggio Calabria da Eurokai, il gruppo che controlla Contship Italia che a sua volta gestisce l’unico terminal container di Gioia Tauro, si fermano per lo stesso periodo dell’anno a 1.255.953. Gioia Tauro, però, è un porto principalmente di transhipment (trasbordo da una nave all’altra) mentre Genova è di destinazione finale e conta soltanto una volta, in entrata o in uscita, la maggior parte dei suoi contenitori.
Riflessioni in pre assise
Non mancherà dunque la benzina alle riflessioni di centinaia di imprenditori calabresi, che oggi si riuniranno nella pre assise confindustriale in vista dell’assise generale del 16 febbraio a Verona. La tappa odierna, alla presenza del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, è a suo modo unica perché viene ospitata nella sala consiliare del Municipio di Gioia Tauro, messa a disposizione dalla giunta commissariale prefettizia che dal 25 maggio dello scorso anno guida il Comune sciolto per infiltrazioni mafiose. «Non è un caso – spiegano all’unisono Mazzuca e Giuseppe Nucera, presidente di Confindustria Reggio Calabria– perché il nostro rapporto con le Istituzioni è vitale. La precondizione per fare impresa in quest’area, in Calabria e al Sud è infatti la legalità. Senza se e senza ma».
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