Depositare (la domanda) è semplice. Farsi promuovere? Molto meno. Ovvero, quante domande di brevetto - dopo aver attraversato le “forche caudine” di un esame che dura sino a 3-4 anni – vengono poi effettivamente concesse?
Una settimana fa, l’Epo – l’Autorità europea per i brevetti – ha rilasciato i dati sulle domande presentate, nel 2017, da aziende e inventori di tutti i Paesi Ue. Quelle italiane sono aumentate del 4,3% l’anno scorso (sul 2016), passando da 4.172 a 4.352. Molto meglio della media Ue dei Ventotto, che si è fermata a +2,6 per cento (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 marzo).
Eppure, per il presidente di Epo, Benoit Battistelli, «sono ancora troppo poche, rispetto al potenziale di creatività e capacità innovativa di Pmi e università italiane: le domande italiane sono appena il 3%, le olandesi il 4%, quelle francesi il 6% e le tedesche addirittura il 15% del totale depositato».
In realtà, solo una minima parte di queste domande verrà realmente accettata e si trasformerà in brevetto concesso. Appunto, quante?
Un’elaborazione l’ha curata Giovanni Casucci, partner dello studio legale internazionale Dentons, prendendo i dati forniti dalla stessa Epo e mettendo in relazione i brevetti effettivamente concessi nel 2017 con la media, su 3 anni (2013-2015) delle domande presentate.
Infatti, considerando la fase di ricerca (il dossier che considera l’ammissibilità della richiesta e la brevettabilità del bene sottioposto), la vera e propria fase di esame sostanziale e il periodo di opposizione, benchè i tempi possano variare in base alla complessità (o meno) della domanda, per arrivare a decretare un brevetto possono volerci sino a 4 anni.
Dal rapporto emerge che è vero che l’Italia presenta meno domande dei principali partners Ue, ma che più di 6 richieste su 10 poi diventano brevetti.
Il nostro rapporto di concessione sul totale delle domande depositate negli ultimi 5 anni è infatti di quasi il 65% (64,8 per l’esattezza). Per tutti gli altri, siamo sotto la soglia del 60 per cento. In Germania, infatti, il rapporto di concessione si ferma al 59,4%, in Francia è al 56,5%, nel Regno Unito scende sino al 45,5% e peggio ancora nei Paesi Bassi dove meno di 1 domanda su 4 si trasforma in brevetto (39,8%). Perchè?
«I motivi sono diversi – spiega Casucci –. Certo da noi persiste una sottovalutazione delle potenzialità legate a un brevetto. Inoltre, brevettare costa e in Italia abbiamo soprattutto Pmi, da sempre più “prudenti” su questo tipo di investimento. Fanno domanda se davvero ci sono i presupposti».
Diverse, invece, le normative in altri Paesi.
«Nel diritto del lavoro tedesco – prosegue Casucci – ad esempio c’è una normativache incoraggia i dipendenti a produrre brevetti. L’azienda intesta il brevetto al proprio collaboratore e se questo dopo 8 anni genera fatturato, lo “premia”. Mentre in Regno Unito e Olanda, le domande di brevetto sono considerati “asset” potenzialmente sfruttabili e accrescono le possibilità di accesso al credito e di ricevere investimenti dal mondo finanziario».
Intanto, l’Agenzia Ue per i brevetti sta lavorando per ridurre l’iter di esame delle domande, portandolo, entro il 2020, dagli attuali 4 anni a meno di tre.
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