Economia

Marchionne fuori da Fca, gli effetti industriali e finanziari della fine di…

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Quattordici anni al Lingotto

Marchionne fuori da Fca, gli effetti industriali e finanziari della fine di un’era

L’accelerazione improvvisa e violenta con l’uscita di Sergio Marchionne dagli incarichi operativi in Fca e in Ferrari ha delle ragioni e degli effetti. Sulle ragioni è per ora impossibile pronunciarsi. Soprattutto nel momento in cui un tema umanamente delicato, non perfettamente chiaro e intimamente insondabile come quello della salute si sovrappone ad un argomento più neutralmente trattabile come quello delle visioni – di Marchionne e della famiglia proprietaria, gli Agnelli Elkann - sullo sviluppo futuro di un gruppo che, originatosi da una Fiat in condizioni pre-fallimentari e da una Chrysler fallita, ha provato in più occasioni – senza riuscirvi - a chiudere il cerchio con breakup, fusioni e aggregazioni.

Sugli effetti è, invece, possibile fare qualche considerazione in più. La prima considerazione è che l’effetto sugli investitori potrebbe rivelarsi notevole. Anzi, molto notevole. Sergio Marchionne ha, in questi quattordici anni, garantito con la sua abilità tecnica una costruzione giuridico-societaria e una fisionomia industriale-manifatturiera perfettamente calibrate sull’obiettivo di fare crescere il valore delle aziende che ha guidato.
L’identificazione fra lui e il gruppo è stata totale. Ed è stata una identificazione interna, condotta e plasmata con il carisma autorevole e la forza autocratica del demiurgo che, nello sguardo di insieme complessivo, ha preso un organismo che quasi non esisteva più e che, anno dopo anno, è tornato prima a respirare, poi a vivere e quindi e prosperare. Ma è stata soprattutto esterna, con l’enorme costruzione di valore finanziario, proporzionalmente molto maggiore rispetto alla costruzione di valore industriale. Venite con me, e io vi farò ricchi, ha detto in questi anni Marchionne a chi gli affidava i suoi soldi comprando azioni della vecchia – e ormai radicalmente mutata – galassia Fiat. E ci è riuscito: non importa che tu ti chiamassi Warren Buffett e John Elkann, Mario Rossi o Chiara Biondi.

La base su cui ha edificato questo fenomeno è stata la costruzione industriale. Però, come grandezza l’unico segmento industriale paragonabile alla realtà finanziaria per forza e intensità è stata Jeep. Sul resto, invece, la crescita della realtà industriale non è risultata raffrontabile alla crescita della realtà finanziaria. Basti pensare all’Alfa Romeo e alla Maserati, che hanno assunto una maggiore compattezza e una maggiore solidità rispetto a un tempo ma che non sono diventate una reale alternativa all’Audi, alla Bmw e alla Daimler-Mercedes.

Il punto, dunque, è il rapporto fra impresa, finanza di impresa e finanza tout court. La finanza di impresa è il raccordo fra l’impresa e la finanza tout court. Un gruppo nato povero e con i debiti ha raggiunto la condizione del debt free. Ora ha una posizione finanziaria netta positiva. La stessa condizione dei concorrenti che, però, non hanno dovuto lottare con una genesi critica al limite del cimiteriale. Da un lato c’è l’impresa. Dall’altro ci sono gli investitori. Che hanno sempre avuto in Marchionne il riferimento. Per questa ragione la prima incognita è proprio rappresentata dalle scelte degli investitori. Inizia un’altra fase. Inizia un’altra storia. Nelle fabbriche e negli uffici. Nelle banche d’affari e ovunque ci sia qualcuno che deve decidere se mantenere, aumentare o diminuire le sue posizioni sui titoli del mondo creato dal demiurgo Marchionne.

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