Economia

Trivelle, i retroscena di una battaglia molto politica e poco ambientale

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L'Inchiesta |ambiente ed energia

Trivelle, i retroscena di una battaglia molto politica e poco ambientale

Da qualche giorno le cronache politiche e gli improperi sui social network si sono arricchiti di un nuovo tema, quello delle “trivelle” cui il Governo ha appena dato il via libera. Ecco alcune notizie sull’argomento.

Primo. La Global Med cui è stato dato il permesso di cercare i giacimenti di metano e petrolio sotto il fondale dello mare Ionio è un piccolo “originatore” come molti altri. Tramite “ecografie” del sottosuolo, questa società del Colorado cerca i giacimenti in tutto il mondo e, se li individua, li vende a chi la le spalle larghe per affrontare l’investimento e le perforazioni.

Secondo. Sotto il fondale di acque profonde dello Ionio a cavallo fra le acque di interesse italiano e quelle greche c’è la stessa tipologia di rocce che comincia nei giacimenti della Basilicata (i più grandi sulla terraferma europea) e nelle aree Rospo e Aquila nell’Adriatico e arriva davanti al colossale giacimento egiziano Zohr al largo del delta del Nilo.

Terzo. Già un anno fa i ricorsi delle Regioni Puglia e Calabria contro quel permesso di ricerca naufragarono davanti al Tar. Una sequenza drammatica e imbarazzante di bocciature, come nell’estate del 2016, nel settembre del 2016 e nel luglio scorso.
Ora i presidenti Michele Emiliano (Puglia) e Mario Oliverio (Calabria) vogliono rispendere quei soldi già buttati già sapendo, come ha detto ieri Emiliano, che perderanno le cause.

Quarto. Il ministero dello Sviluppo economico ha dato un altro permesso importante, e riguarda il più interessante giacimento dell’Alta Italia.
In Romagna tra nella zona tra Imola e Lugo ci sono i giacimenti San Potito e Longanesi, più di un miliardo di metri cubi di metano (gli entusiasti sostengono fino a 3 miliardi) .
Operatore in questo caso è la compagnia petrolifera emiliana Gas Plus, in associazione con la statunitense Aleanna.

Inquinare meno: i giacimenti a chilometri zero
Nei mari italiani da decenni ci sono più di 100 piattaforme petrolifere, delle quali la maggior parte nel mare Adriatico dove sono un’attrazione per il turismo, con le visite guidate e le gite in battello organizzate dagli operatori della Riviera, e una sicurezza per la pesca, che può contare su queste aree di ripopolamento del pesce che sfuggono al grande dragaggio delle reti che desertificano il mare.

I giacimenti a chilometro zero apportano royalty per i Comuni e le Regioni che li ospitano, royalty che in genere vengono destinate per migliorare la qualità dei servizi per la cittadinanza. Per esempio in Emilia alcuni giacimenti di metano finanziano gli abbonamenti ai mezzi pubblici. In altri casi, le royalty finiscono in uno spreco di cattiva immagine, come è successo con la Basilicata che ora cerca di risanare questa fonte di risorse usata spesso molto male.
Le imprese italiane di fornitura in questo periodo stanno soffrendo per il crollo degli investimenti sui giacimenti nazionali; è il caso del polo dell’indotto minerario di Ravenna, fra i più importanti del Mediterraneo.
Al contrario, se al posto dei giacimenti nazionali si fa maggiore ricorso alle importazioni, oltre a ridurre la disponibilità di risorse date dalle royalty si danno soldi agli oligarchi e si finanziano i califfati degli sgozzatori.

Allontanare i giacimenti fa crescere le emissioni
Allontanare le provenienza di gas e petrolio fa crescere le emissioni. Il beneficio ambientale non c’è: il disagio delle attività petrolifere verrebbe semplicemente spostato lontano dagli occhi, polvere nascosta sotto il tappeto, là nei Paesi che esportano.
L’estrazione in luoghi remoti avviene lontano dal controllo di cittadini e della magistratura e si usano tecnologie diverse da quelle italiane, al mondo tra le migliori e più rispettose dell’ambiente.
Poi per importare questo gas e petrolio — che non si produce in Italia a chilometri zero — bisogna costruire gasdotti (come il Tap contestato in Puglia) o far viaggiare (con emissioni altissime) davanti alle nostre spiagge più petroliere cariche di greggio, con i rischi che conosciamo.

Per ridurre le emissioni bisogna ridurre i consumi. Che invece aumentano
Allontanare le provenienza di gas e petrolio fa crescere le emissioni. Per ridurre le emissioni bisogna ridurre invece i consumi.
Meno consumi nei trasporti, nelle centrali elettriche, negli impianti di riscaldamento.
Più fonti rinnovabili, e anche più biometano estratto dalla fermentazione dei rifiuti e degli scarti agricoli.
Eppure gli italiani fanno l’esatto contrario: aumentano i consumi.
In novembre i consumi petroliferi italiani sono ammontati a 5,1 milioni di tonnellate, con un incremento pari al 4,3% (+209.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2017. I consumi di carburanti autotrazione (benzina+gasolio), a parità di giorni lavorativi, sono risultati pari a circa 2,6 milioni di tonnellate, di cui 600mila tonnellate di benzina e 2 milioni di gasolio, con un incremento del 4,4% (+106.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2017.

Di che cosa parliamo
Da anni la Shell, la Global Med e altre compagnie chiedono di poter cercare sotto i fondali dello Ionio la presenza di eventuali giacimenti. Le prospettive geologiche sono ottime e lasciano sperare bene. In particolare la Global Med ha individuato tre aree, al largo di Crotone e a sud della Puglia a metà fra la Calabria e la Grecia. Nelle acque divise tra i due Paesi, sotto alle zone di competenza esclusiva, potrebbero esserci grandi giacimenti. La competenza dei giacimenti in mare non spetta alle Regioni, poiché il mare è di competenza dello Stato e inoltre è impossibile determinare quale Regione che si affacci sullo stesso braccio di mare sia più competente.

Un iter senza fine
La Global Med di Littletlon (Colorado) dell’imprenditore Randall Thompson aveva chiesto di poter ascoltare il sottosuolo dello Ionio nel 2013, Governo Monti. Il progetto ha avuto tutti i via libera nei Governi successivi (Letta, Renzi, Gentiloni) fino alla firma finale di autorizzazione fine dicembre (Governo Conte). Anche la commissione di Valutazione di impatto ambientale (Via) del ministero dell’Ambiente aveva approvato il progetto di ecografia del sottosuolo. La commissione Via è composta dagli scienziati e dai tecnici scelti nel 2007 dall’allora ministro Stefania Prestigiacomo (Governo Berlusconi), e in 12 anni mai rinnovata nonostante l’impegno dei ministri Gian Luca Galletti (Udc) e dal suo successore attuale, Sergio Costa (Cinque Stelle). Il via libera è un atto dovuto secondo le leggi attuali, altrimenti contro il dirigente che non si fosse attenuto alla legge sarebbe partita un’accusa penale e una causa civile di risarcimento di danni milionari. Nel frattempo nel ministero dello Sviluppo economico c’è grande preoccupazione perché alcuni temono epurazioni e in diversi se ne sono già andati.

Politiche e polemiche
Apriti cielo. Il via libera alla ricerca del sottosuolo è diventato uno strumento per mettere sotto accusa il Governo, che della lotta contro i giacimenti nazionali aveva fatto uno dei cardini della campagna elettorale e della sua linea politica. Michele Emiliano ha accusato il vicepresidente del consiglio e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, il quale ieri ha risposto che il permesso di ricerca era un atto dovuto. I Verdi hanno annunciato denunce in Procura, il Movimento Cinque Stelle mette sotto accusa «le falsità» di «certa stampa» e accusa i predecessori targati Pd.

Chi è la Global Med
La compagnia che l’altra settimana ha ottenuto dal ministero dello Sviluppo economico il permesso di ascoltare le rocce tramite ecografie colossali si chiama Global Med Llc ed è una delle molte società di valorizzazione geologica, come altre che in Italia e in tutto il mondo chiedono il permesso di studiare il sottosuolo per poi rivenderne i diritti. La società è piccola, quasi una one man company posseduta da Randall Clyde Thompson, sede legale in Colorado, a Littleton, South Pierce Street, appartamento numero 390. In Italia oltre alla Global Med hanno operato numerose società di “originatori”, fra le quali la Transunion oppure la multinazionale Schlumberger. Ottenuto il “titolo di ricerca”, ora la Global Med raccoglierà i dati geofisici alla ricerca di giacimenti, e contatterà le vere società petrolifere, come per esempio la Shell che già opera in zona, come la francese Total o come la spagnola Repsol con cui condividere il progetto.

Il caso della Romagna
Le autorizzazioni firmate in dicembre dallo Sviluppo economico riguardano anche due concessioni per 10 pozzi per l’estrazione di metano a Lugo e Bagnacavallo per una durata di almeno 15 anni. Si tratta dell’area dei giacimenti San Potito e Longanesi, un’area che promette almeno 1,2-1,3 miliardi di metri cubi di gas. Sono giacimenti storici che erano stati scoperti dall’Eni-Agip quando aveva l’esclusiva su tutta la pianura padana; con il processo di liberalizzazione, le risorse sono state acquisite dalla compagnia petrolifera Padana Energiadel gruppo emiliano Gas Plus, che lavora in associazione con Aleanna. Nel dettaglio: 5 pozzi ( due esistenti e tre nuovi) per la zona di Bagnacavallo per la durata di 20 anni mentre, per quanto riguarda Lugo c’è il rinnovo della concessione di San Potito che è stata prorogata per 15 anni.

Un emendamento anti-trivelle
Depurata la scena dalla polemica politica, andata avanti anche ieri, resta di fondo l’incertezza nelle scelte del governo e della maggioranza. Perché la presentazione di un emendamento al decreto semplificazioni, preannunciata domenica dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa («Tutta la verità sulle trivelle», scrive Costa in una lunga nota) e dal sottosegretario allo Sviluppo Davide Crippa, non sembra ancora sicura né si può dire che davvero bloccherà l’iter di 40 autorizzazioni oggi pendenti. Ciò che è al momento è acclarato è la mancata approvazione durante l’esame della legge di bilancio di un emendamento con prima firmataria Mirella Liuzzi (Cinque Stelle) che non interveniva sul processo di autorizzazione ma aumentava i canoni che le società petrolifere devono versare allo Stato per attività di ricerca, sondaggi, perforazioni, estrazioni e coltivazione di idrocarburi. Secondo la relazione tecnica, le entrate sarebbero salite da 1,4 milioni a 441 milioni di euro. L’emendamento fu criticato dal coordinamento nazionale no-triv: una norma, era la tesi, che non attuava alcuna moratoria sull’upstream ma istituiva un «bancomat petrolifero» a danno dei territori. I Verdi ritengono che un eventuale emendamento sarebbe davvero efficace solo se partisse con il cancellare quanto disposto dal decreto Sblocca Italia (2014, Governo Renzi) all’articolo 38, ovvero un titolo concessorio unico sia per le attività di ricerca sia per la coltivazione di idrocarburi.

Colpa del Pd
I deputati Cinque Stelle della commissione Ambiente della Camera hanno ribadito che le autorizzazioni sono conseguenza di atti redatti «tra il 2016 e il 2017 dai governi targati Pd». Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ribatte che i ministri Di Maio e Costa «hanno volutamente omesso di considerare che, in sede di autotutela, l’amministrazione statale avrebbe potuto disporre il riesame Via». Per inciso, un procedimento per eventuale annullamento in autotutela fu avviato da Di Maio sul famoso caso della gara Ilva.

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