Siamo peggio della Grecia. Quasi tutti gli Stati europei hanno risanato la compagnia nazionale, un tempo la chiamavano «di bandiera». Alitalia invece continua a perdere quote di mercato e a volare in profondo rosso: è tenuta in vita dal prestito statale di 900 milioni, con gli interessi ha superato il miliardo. Un prestito «ponte», ma non si sa bene verso che cosa. La compagnia è al bivio. Il governo appoggia un piano di salvataggio che avverrebbe in larga parte con soldi pubblici, con l’operazione affidata alle Ferrovie dello Stato, che cercano altri soci. Finora è disponibile solo Delta, con una quota di 100 milioni e il 15% del capitale.
Un’alternativa potrebbe essere Lufthansa, che ha preannunciato 3mila esuberi nelle attività di volo. Altri esuberi (su 11.601 dipendenti totali) sarebbero probabili nelle attività di terra, che resterebbero ai commissari. Se non si trovano compratori ci sarebbe la liquidazione, hanno detto i commissari. Vediamo come hanno risposto alla crisi del vettore nazionale altri paesi europei.
Swissair a terra
Gli aerei di Swissair rimasero a terra il 2 ottobre 2001, senza carburante. La compagnia non aveva più liquidità. Le banche
avevano chiuso i rubinetti. Dopo due giorni ripresero i voli, grazie a un prestito statale di 450 milioni di franchi. Ubs
e Credit Suisse riaprirono i finanziamenti solo quando fu approvato un piano che prevedeva la ripresa con una nuova società,
più piccola, la Crossair, la filiale per i voli regionali. Le due banche impegnarono 260 milioni di franchi per l’acquisto
del 70,35% di Crossair che apparteneva a Swissair, che diventò una bad company.
La «newco» si chiamò Swiss, nacque nel gennaio 2002 con azionisti privati e banche in maggioranza, governo federale, Cantoni: rilevò due terzi delle attività ex Swissair e Crossair. Il primo volo ci fu il 31 marzo 2002. Nel 2004 arrivò come a.d. un tedesco, Christoph Franz, che aveva lavorato alla Lufthansa. Swiss perdeva soldi. Fu decisa la vendita a Lufthansa, ufficializzata il 22 marzo 2005 e completata in due tappe, il primo luglio 2007. Swiss aveva come azionisti lo Stato (con il 20,4%), alcuni Cantoni tra cui Zurigo (10,3%), Ubs (10,4%) e Credit Suisse (10,3%), Nestlé, Roche, Novartis e altri.
Dopo la cura tedesca
L’organico era sceso a 7.900 addetti nel 2004, 800-1.000 tagli erano stati annunciati prima dell’arrivo di Lufthansa. Nel
2006 i dipendenti furono ridotti a 5.334. Dopo aver perso 1,6 miliardi di dollari dal 2002 al 2005, Swiss nel 2006 presentò
il primo bilancio con un utile netto, pari a 263 milioni di franchi, con un fatturato in crescita dell’11% a 4,15 miliardi.
Swiss è cresciuta, oggi ha dimensioni maggiori rispetto a quando fu venduta ai tedeschi. A fine 2018 aveva 9mila dipendenti
e 89 aerei, dei quali 29 per voli intercontinentali (tre più di Alitalia), oltre a nove aerei in wet lease. Nel 2018 ha trasportato 17,9 milioni di passeggeri, con oltre 100 destinazioni in 44 paesi (nell’inverno 2005 69 destinazioni
in 41 paesi). Secondo il bilancio Lufthansa, nel 2018 Swiss ha realizzato un utile operativo (Ebit) rettificato di 593 milioni
di euro (+11%), con un fatturato di 4.897 milioni (+4%).
Il crac Sabena
Il fallimento di Swissair provocò il collasso di Sabena, di cui il vettore svizzero possedeva il 49,5% (l’altro 50,5% era
dello Stato belga). In rosso di 320 milioni già nel 2000, Sabena portò i libri in Tribunale il 7 novembre 2001, mentre i dipendenti
gridavano «Lo Stato deve riprenderci». L’attività ripartì dalla filiale per voli regionali Delta Air Transport (Dat). Nel
febbraio 2002 nacque così la Sn Brussels Airlines, con 40 investitori. Dimezzati i dipendenti, da 12mila a circa 6mila. Nel
2004 ci fu l’unione con la Virgin Express, ma i conti non andarono a posto. E anche a Bruxeles arrivarono i tedeschi. Nel
2009 Lufthansa ha comprato il 45%, con opzione a comprare il residuo 55% dal 2011. Da dicembre 2016 i tedeschi hanno il 100
per cento. Solo il primo giugno 2012 la compagnia ha ripreso i voli per New York. Secondo il sito oggi la compagnia ha 52 aerei, di cui 10 a lungo raggio (Sabena aveva 84 aerei nel 2001). I risultati economici non sono pubblicati.
Il caso Austrian
Anche il vettore di Vienna è finito nella braccia di Lufthansa. Nel novembre 2008 fu annunciata la vendita ai tedeschi della
quota pubblica (il 41,56%). Nel settembre 2009 Lufthansa è salita al 90%, dopo l’autorizzazione Ue a 500 milioni di aiuti
statali, la metà del buco della compagnia. Lufthansa oggi possiede tutto il capitale. Nel 2012 le attività di volo sono state
trasferite alla controllata regionale Tyrolean. I dipendenti sono stati tagliati dagli 8.035 di giugno 2008 fino a 6.000 nel
2016. L’organico è risalito a 7.083 addetti a fine 2018, con 83 aerei (78 nel 2011). Secondo il bilancio Lufthansa, nel 2018
Austrian Airlines ha avuto ricavi pari a 2.178 milioni (-8%) e un Ebit rettificato di 42 milioni (-55%).
Olympic torna all’utile
Olympic Airlines, nazionalizzata nel 1975, ha accumulato due miliardi di perdite in dieci anni fino al 2006. A fine 2013 la
Ue ha autorizzato la cessione a Aegean Airlines, posseduta da privati greci. Nel bilancio consolidato 2018 Aegean dichiara
un utile netto di 67,9 milioni e 1.187 milioni di ricavi. Ha 61 aerei, nessuno di lungo raggio.
La profezia di Bisignani
«Alitalia è uno dei due casi in Europa, l’altra che perde è Olympic», spiegò l’a.d. di Iata Giovanni Bisignani il 12 dicembre
2006. «Quando Swiss è stata privatizzata il governo non ha messo alcuna condizione. Il resto è stato deciso dal mercato».
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