Cinque anni di Garanzia Giovani. Oggi, 1° maggio, il programma europeo rivolto all’universo dei Neet, i ragazzi che non studiano e non lavorano, tra i 15 e i 29 anni, arriva al quinto giro di boa rispetto all’apertura del
portale nazionale - nel 2014 - che consente di iscriversi al Piano e provare così a uscire dai margini del mercato del lavoro.
Ma di Garanzia Giovani ormai non si parla quasi più.
Il bilancio dell’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive, è fermo al 28 febbraio 2019, parla di oltre 1,4 milioni di iscrizioni, al netto di tutte le cancellazioni di ufficio.
I “presi in carico” – i giovani che sono stati ricontattati dai servizi per l'impiego – sono ancora di meno, poco più di
un milione. Di questi 641mila (pari al 56,9% del totale) sono stati avviati a un intervento di politica attiva: la media però nasconde forti differenze territoriali, con un tasso di copertura che al Sud scende al 45,7%, mentre nelle
Regioni del Nord-Ovest si arriva al 73,9 per cento. Il tirocinio extra-curriculare è la politica maggiormente utilizzata (57,6%), seguita dagli incentivi occupazionali (24,8%). La formazione riguarda il 12,6% delle misure, mentre il 2,8% sono attività
di accompagnamento.
Degli oltre 640mila che hanno avviato un percorso di reinserimento, quasi 50mila si sono persi per strada: in 595.685 hanno concluso l’intervento di politica attiva e di questi poco più di 300mila (il 52,5%) hanno trovato un lavoro vero e proprio.
Un lavoro che in oltre un caso su tre (39,5%) è a tempo indeterminato, nel 36,8% coincide con l’apprendistato e il 20,1%
è a tempo determinato.
A voler vedere il bicchiere mezzo vuoto, la maggior parte dei ragazzi registrati al programma si è persa per strada, visto che su un totale di 1,5 milioni, coloro che hanno concluso il percorso sono stati, come detto in precedenza, meno di 600mila e chi ha trovato un’occupazione rappresenta poco più di un quarto dei registrati. La maggioranza dei ragazzi, insomma, non ha visto (almeno finora) trasformarsi lo stage (la misura più gettonata) in un contratto di lavoro vero e proprio, dopo l’adesione a un programma (Garanzia Giovani) che per la prima fase - chiusa a fine 2018 - ha potuto contare su una dote di 1,5 miliardi di euro, e che proseguirà fino al 2020.
I dati diffusi ieri dall’Istat ci dicono che in Italia la disoccupazione giovanile è ai minimi dal 2011, scesa a marzo al 30,2% (-1,6% rispetto a febbraio e -2,5% su base annua). Timidi segnali positivi, che però non risollevano la disastrosa situazione italiana che sullo scacchiere europeo ci vede al terzultimo posto dopo Grecia e Spagna, con un tasso di disoccupazione giovanile più che doppio rispetto alla media Ue del 14,5 per cento. E i Neet nonostante siano in calo rispetto al picco negativo del 2014 (2,41 milioni nella fascia 15-29 anni), restano oltre i 2 milioni tra gli under 30 (di cui 1,1 milioni fino ai 24 anni).
Gli occupati under 25 sono passati da 1,7 milioni del 2004 a 1,093 del 2019, con una perdita di oltre 600mila posti, sulla quale ha solo in parte influito il calo demografico. Il calo dei disoccupati - da 522 a 473mila - è più che compensato dall’aumento del numero degli inattivi (+12% da 3,8 milioni a 4,3 milioni) e anche di quello dei Neet (da 1 milione a 1,125 milioni). Il tasso di occupazione è crollato dal 28% al 19%, quello di disoccupazione invece è salito dal 23 al 30% e quello di inattività dal 63 al 73 per cento.
Va un po’ meglio a livello generale. Se ci si dovesse limitare alla lettura del dato relativo al numero complessivo degli ultimi 10 anni verrebbe da dire che il mercato del lavoro in Italia è rimasto sostanzialmente invariato: i lavoratori sono infatti rimasti quasi gli stessi 23,090 milioni nel 2008 e poco 23,001 nel 2019. Con un saldo addirittura positivo se allarghiamo lo sguardo al 2004 quando gli occupati erano 22,36 milioni.
In realtà, questo risultato “assoluto” è l’effetto di una dinamica a V, o forse meglio, a W, di cui vediamo solo i due estremi: la grande recessione iniziata nel 2008 sta esaurendo i suoi effetti, ed il mercato del lavoro ha subito un primo forte crollo nel 2009, un modesto recupero nel 2011, un nuovo crollo nel 2012/2013 ed ora, finalmente, segnali positivi. Nel dettaglio a crescere è stata l’occupazione femminile (+11% in valore assoluto, mentre quella maschile è scesa dell’1%). Mentre il numero di disoccupati - in valore assoluto - ha registrato aumenti percentuali a due cifre.
Se si vanno a vedere più nel dettaglio le componenti dell’occupazione si realizza come queste dinamiche abbiano effettivamente provocato dei cambiamenti nella struttura del mercato del lavoro nel nostro Paese. In primis, una diminuzione di 15 punti percentuali della quota di lavoratori indipendenti (quasi un milione in meno in termini assoluti dal 2004 al 2019). Ma anche i lavoratori dipendenti sono cambiati: dietro l’aumento di 1,89 milioni si nasconde una leggera crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+5%), contro una forte “esplosione” di quelli a termine (+63 per cento).
Se restringiamo l’obiettivo agli ultimi 10 anni emerge poi che è decisamente aumentata la quota di coloro che lavorano part-time, passati dal 14,5% del 2008 al 19% di oggi (oltre 1 milione in più in termini assoluti); anche in questo caso si può parlare
più di un “effetto crisi” che di un risultato positivo dal punto di vista sociale (nel senso di andare incontro alle esigenze
del lavoratori): proprio negli anni della crisi si è assistito infatti ad un aumento del cosiddetto “part-time involontario”, frutto delle scelte aziendali di ridurre gli orari di lavoro in risposta alla contrazione della domanda per non ridurre
l'organico aziendale.
Dal punto di vista settoriale, gli ultimi dieci anni hanno visto diminuire il peso dell'occupazione nelle attività manifatturiere (-2%), nelle costruzioni (-2,3%), nella pubblica amministrazione (-1%). Aumentano invece gli addetti negli alberghi e nella ristorazione (+1,4%), nella sanità ed assistenza sociale (circa 100 mila lavoratori in più) e la quota di colf e badanti (quasi raddoppiate per peso sul totale dei lavoratori).
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