Le aziende venete si schierano con l’università per frenare l’emorragia di laureati e correggere la distorsione che attualmente vede in regione una alta qualità della didattica e dellaricerca, ma con un limitato impatto sul mercato. Uno scenario che vede le imprese faticare nel trovare competenze adeguate (nel 40% dei casi), e un numero di laureati in regione che se ne va superiore rispetto a quanti arrivano da altre parti d’Italia.
Per avere una idea del fenomeno occorre incrociare dati diversi: a cominciare da quello dell’ultimo rapporto Bes ( fonte: Istat - Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile 2018). Il Veneto segna -2,6 per mille nel 2017, 4,6 per mille nel 2016.
Questa è la mobilità dei laureati (per la precisione con laurea, master, dottorato e titoli superiori) italiani fra i 25 e i 39 anni che lasciano il Veneto. Un numero da interpretare «perché è la punta dell’iceberg - spiega Paolo Gubitta, docente università di Padova e Cuoa Business school - Molti di più sono i laureati che rientrano a casa nel fine settimana, o lavorano da pendolari fuori regione. Nelle statistiche finisce chi ha dato una nota di irreversibilità alla sua scelta trasferendo la residenza. Non solo: questa è l’età in cui si mette su famiglia, difficile che a un certo punto si torni indietro». Da recuperare c’è un ritardo di «almeno 10 anni: mentre Milano organizzava grandi eventi qui non si realizzavano i collegamenti necessari - osserva Gubitta - Diventa difficile lavorare in una città veneta e andare a cena a Venezia o a prendere un aperitivo a Treviso senza metterci ore. Eppure con una migliore mobilità, per non parlare dell’alta velocità, diventerebbero appetibili centri come Cittadella, Montebelluna o San Donà di Piave per una generazione che non pensa più al lavoro come sacrificio, ma chiede una certa qualità della vita».
Altrimenti sceglie di lavorare altrove: «Il difficile non è trovare il neolaureato da assumere per sei mesi, ma trattenerlo, e ancora più richiamare un 35enne già con una buona esperienza». La voglia di trasferimento dopo gli studi è ancora più evidente nelle statistiche dei laureati trasferiti all’estero, dove c’è una comunicazione ufficiale registrata: nel rapporto di Fondazione NordEst del 2017, fra il 2002 e il 2015 si contavano 2.026 laureati in meno a NordEst, la parte più qualificata di una continua emigrazione di giovani (e non solo). Un altro dato su cui riflettere è la differenza con le regioni vicine: al segno meno del Veneto fanno da contrappunto l’attrattività di Lombardia (+14,6 per mille mobilità laureati della stessa fascia d’età), e il +15,5 dell’Emilia Romagna, ovvero gli altri due vertici del “nuovo triangolo industriale”. Sempre Fondazione Nordest nelle ultime analisi ha monitorato come solo alcune aree del Triveneto siano una destinazione per flussi di giovani a elevata qualificazione. Eppure le imprese qui offrono posizioni appetibili e hanno la stessa intensità di ricerca delle colleghe lombarde (1,3% il Veneto in rapporto al Pil)e una alta propensione alla brevettazione. Per colmare questo gap, gettare un «ponte» tra ricerca e competitività industriale, tra domanda e offerta di risorse umane a elevata qualificazione, tra investimento in alta formazione, sviluppo delle competenze e attrazione di giovani talenti Massimo Finco, presidente di Assindustria Venetocentro Imprenditori Padova Treviso, con il rettore Rosario Rizzuto e Fabrizio Dughiero, prorettore al Trasferimento tecnologico, hanno firmato un accordo quadro, il primo così strutturato.
Di durata triennale, si sviluppa su più filoni di attività, a partire dalla promozione di forme di partenariato didattico e co-progettazione, attivazione di tirocini curriculari e di dottorati di ricerca industriale (pronto il bando per 10 borse di dottorando per complessivi 700mila euro con Fondazione Cariparo e Intesa Sanpaolo, co-finanziate dalle imprese) per l’inserimento in azienda di professionalità a elevata qualificazione e lo sviluppo di progetti di ricerca, passando per attività di placement e orientamento ai percorsi universitari a indirizzo scientifico-tecnologico, fino alle azioni a supporto del trasferimento di tecnologia e cultura innovativa. Associazione e Università si sono impegnate a valutare annualmente i risultati della collaborazione sulla base di indicatori quantitativi e qualitativi definiti.
Confermato l’impegno ad avviare il Digital Innovation Hub in grado di fornire alle imprese, specialmente Pmi, strumenti e competenze per affrontare la digitalizzazione dei processi produttivi. Un hub di incontro unico che insieme al Competence Center del Triveneto (SMACT) sarà il punto di riferimento per le imprese che vogliono “toccare con mano” le opportunità di Industria 4.0.
«Abbiamo più laureati che se ne vanno rispetto a quelli che arrivano: su questo dobbiamo concentrare gli sforzi perché il capitale umano di qualità è il vero vantaggio competitivo. L’accordo è un tassello di questa strategia- spiega Massimo Finco -. Non vogliamo solo trattenere i nostri giovani, quelli sui quali la comunità ha investito, ma anche diventare magnete di attrazione con il nostro territorio e le nostre imprese. Dobbiamo comunicare che qui vi è un sistema, una relazione positiva, virtuosa tra Università e imprese che rappresenta una grandissima opportunità per i giovani laureati. Per quelli che sono già qui, perché non vadano a cercare altrove o comunque tornino, sapendo di avere in casa le opportunità. E per raccontare tutto questo una più ampia comunità di giovani, anche all’estero – anche attraverso i social – affinché possano vedere in questo territorio una mèta ambìta, aperta, inclusiva e con opportunità di crescita per tutti, il luogo più bello in cui studiare, lavorare, vivere». Consapevoli che oggi la competizione globale si gioca su tre grandi sfide: capitale umano qualificato, trasferimento tecnologico e investimenti: «Il legame fra un sistema produttivo capace di innovare e ripensarsi e un ateneo che forma capitale umano di altissima qualità per le imprese è sempre più stretto - afferma Rosario Rizzuto, rettore -. Dietro alla firma c’è la consapevolezza dell’importanza del trasferimento tecnologico e di conoscenza fra Università e imprese è ormai al centro delle strategie dei due mondi, accademico e imprenditoriale. Due realtà che parlano, interagiscono, si stimolano. E lo fanno utilizzando un linguaggio comune».
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