Renault-Fca. Parigi-Torino e Auburn Hjlls. Francia-Italia e Stati Uniti. Se la geometria iniziale della operazione fosse questa - in attesa di una adesione o di un rifiuto da parte dei giapponesi di Nissan - il profilo strategico della nuova casa automobilistica sarebbe, almeno nel suo concepimento iniziale, assai diverso. I temi da risolvere sarebbero i seguenti: gli equilibri azionari; la sede della holding di controllo; il quadro geopolitico; il ruolo dell’Italia. Andiamo con ordine: gli equilibri azionari sarebbero tutti da capire bene, dato che a fronte di una Fca composta da tre aree industriali quasi indipendenti (il Nord America molto buono, l’Europa non buona e il Sud America così così), sarebbe non semplice determinare con precisione i valori di Renault, dato che molto del suo valore tecnologico e produttivo è assorbito dalla componente giapponese.
La sede della holding di controllo: tutta la architettura della Fca è basata sul perno dell’Olanda, e davvero sorprenderebbe che Macron accettasse - con Renault al 15 per cento in mano allo Stato francese - che le assemblee del nuovo aggregato si tenessero all’aeroporto di Amsterdam. Non stupirebbe che, su questo argomento, i colloqui fra Macron ed Elkann avessero registrato del gelo da parte di Macron.
Terzo punto: il quadro geopolitico. Fca è il Nord America. Senza Jeep e Ram i bilanci sarebbero pessimi. In questo momento il condizionamento di Trump sulla vita industriale americana è significativa. L’amministrazione americana sarebbe in grado di accettare di trovarsi ad Auburn Hills come interlocutori gli uomini dell’Eliseo? Di certo il vantaggio per Renault sarebbe enorme: entrerebbe sul mercato nordamericano, pescando due jolly come Jeep e Ram.
Quarto punto: il ruolo dell’Italia. Se l’accordo fosse Parigi-Torino e Francia-Italia il rischio per l’industria dell’auto italiana sarebbe incipiente. Se ci
fosse Nissan - se ci sarà Nissan - il contributo tecnologico sull’elettrico dei giapponesi potrebbe essere teoricamente assai
interessante.
È vero che i francesi hanno una cultura sulla elettrificazione e sull’elettrico maggiore di quella residuale e minima di
Fca.
Ma è altrettanto vero che, in caso di sovraccapacità produttiva degli stabilimenti europei di un nuovo ipotetico gruppo, le azioni non solo si conterebbero, ma anche si peserebbero: e lo Stato francese, che sarebbe direttamente nel capitale del nuovo aggregato, avrebbe ben altra forza, visione e capacità di influenza dello Stato italiano, che peraltro non può nemmeno più annoverare Fca fra le aziende italiane. Lasciamo stare il tema di Maserati e di Alfa Romeo: anche in questo caso, il vantaggio sarebbe tutto francese, anche se bisognerebbe capire con quali soldi la nuova società potrebbe sviluppare due marchi antichi e nobili, ma sempre meno dotati di tecnologie, prodotti, risultati di mercato e - ogni giorno che passa - perfino appeal.
In ogni caso, aspettiamo di capire qual è il punto di partenza della “alleanza” fra Fca e Renault, quali sono gli equilibri reali, qual è il primo bilanciamento dei poteri e attendiamo, mercoledi 29 maggio, di vedere la mossa dei giapponesi di Nissan. La giostra è partita.
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