Economia

Mancano operai 4.0? Andate in Canada ad aprire fabbriche

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manufacturing summit 2019

Mancano operai 4.0? Andate in Canada ad aprire fabbriche

Il Manufacturing Summit 2019 al Sole 24 Ore
Il Manufacturing Summit 2019 al Sole 24 Ore

In Italia mancano operai e impiegati in grado di lavorare nelle fabbriche 4.0? Tasse e oneri sono troppo alti? I dazi visibili e invisibili (quelli tecnici o burocratici) limitano l’export? Imprenditori italiani, andate ad aprire impianti industriali in Canada, dove sarete accolti con il tappeto rosso (sgravi e incentivi federali e provinciali), dove troverete competenze smart (grazie alla forte formazione tecnica del sistema scolastico locale) e dove accederete al ricco mercato nordamericano in via preferenziale.

Il messaggio del Governo del Canada è giunto forte e chiaro al Manufacturing Summit 2019, organizzato a Milano da 24Ore Business School in collaborazione con Il Sole 24 Ore e sponsorizzato proprio dall’Ambasciata del Canada in Italia (ma sosten uto anche dall’Istat, che ha lanciato i Censimenti permanenti delle imprese, dai giapponesi di Kyocera, dai tedeschi di Sps Ipc Drives Italia, fiera organizzata a Parma da Messe Frankfurt, e di Sew Eurodrive che nel corso della due giorni di summit ha fatto visitare la sua fabbrica 4.0 di Solero) . Segno evidente del grande rispetto di cui godono a livello internazionale gli imprenditori del manifatturiero italiani, che hanno usufruito per anni degli incentivi statali dei Piani statali 4.0 di benefici fiscali.

la famiglia Cerciello e il fondatore di Uflex festeggiano l'accordo con Nordmeccanica

Il Canada: venite a investire da noi
In punta di piedi, senza imporre relatori governativi al Summit, ma facendo parlare chi nel Paese nordamericano già investe, il Canada si è proposto ufficialmente di supportare i piani di sviluppo oltreoceano delle imprese italiane. Perché ora? Perché l’accordo economico e commerciale Ue-Canada Ceta, in vigore in via provvisoria dal 21 settembre 2017 nell’attesa della ratifica dai Parlamenti nazionali , sta producendo già i primi effetti. L’export italiano verso il grande Paese nordamericano è salito del 9% nel 2018 rispetto alla media dei tre anni precedenti e l’incremento è stato del 15% nel campo dei macchinari , come ricordato in un’intervista al Sole 24 Ore da Cecilia Malmström, commissaria al Commercio Ue uscente. Perché allora non fare un passo avanti e aprire direttamente impianti produttivi in Canada, ora che i dazi sono stati abbattuti del 98%, che gli incentivi federali e provinciali per attrarre investimenti sono molto interessanti, che la manodopera 4.0 è già formata dopo anni di investimenti nella formazione tecnica e soprattutto ora che il Paese rappresenta un’ottima porta d’ingresso verso gli Stati Uniti? Sembrano in fase di rasserenamento, infatti, i rapporti, nel recente passato tesi, fra Ottawa e Washington, dopo l’appello del primo ministro canadese Justin Trudeau il 29 maggio al parlamento ad approvare rapidamente l’accordo commerciale Usmca (United States-Mexico-Canada Agreement) con Stati Uniti e Messico. Un accordo che andrà a sostituire il Nafta, finora in sospeso per la disputa tra l’amministrazione Trudeau e la Casa Bianca sulle tariffe su acciaio e alluminio (ora appena rimosse).

Testimonial al Manufacturing Summit dell’ecosistema canadese, molto favorevole all’innovazione industriale e forte di un’alleanza pubblico-privato invidiabile, sono stati Derek Kuhn, senior vice president della società hi-tech Sciemetric Instruments, e Alberto Ribolla in rappresentanza di Mecaer aviation group. Quest’ultima, multinazionale del settore aeronautico con radici a Borgomanero (Novara), è attiva in Canada fin dal 2000. Entrata nel Paese con l’acquisizione di una piccola società locale di manufacturing, ha poi effettuato investimenti importanti, supportati anche da finanziamenti, in parte a titolo di contributo non rimborsabile e in parte in prestito, da parte di Investissement Québec. Ma l’aspetto economico è secondario, rispetto a benefici ben più importanti conseguiti, come l’espansione del business in Nord America e le grandi competenze tecniche trovate in Québec.

Non a caso, l’Ambasciata del Canada a Roma parla di un ecosistema con ottimi skill 4.0, frutto di anni di investimenti statali nel sistema formativo tecnico locale, a supporto del manifatturiero locale che vale quasi il 30% del Prodotto interno lordo del Paese. Piani federali e provinciali a sostegno dello smart manufacturing prevedono anche il sostegno a iniziative come il Summit di Milano, in grado di attrarre investimenti hi-tech nel Paese.

Come reagiranno gli imprenditori italiani alle offerte invitanti della sirena canadese? A giudicare dall’umore in sala al Manufacturing Summit, piuttosto basso per le preoccupazioni sul rallentamento dell’industria meccanica e sullo skill shortage persistente, l’appello ad accendere un faro sul Canada potrebbe essere recepito. E non solo per il sostegno pubblico agli investimenti.

«Sono abituato a non fare mai conto sul sostegno pubblico ma ora bisogna che il sistema-Paese Italia investa in formazione tecnica - racconta l’imprenditore Antonio Cerciello, presidente di Nordmeccanica group -. La mia azienda l’ho fatta crescere a suon di innovazioni e commesse estere, come l’ultima firmata in persona, a Piacenza, da Ashok Chaturvedi, proprietario e presidente del big indiano Uflex, un colosso da oltre un miliardo di dollari di fatturato annuo e ottomila dipendenti. Ma sono preoccupato per la carenza di profili tecnici in Italia, che ci consentano di continuare a crescere oltre la soglia degli attuali 110 milioni di fatturato». Una società emblematica per il comparto del packaging, Nordmeccanica, perché esporta oltre il 90% della produzione ed è leader mondiale delle macchine accoppiatrici per l'imballaggio flessibile (con una quota superiore al 65%), forte dei suoi 300 dipendenti diretti e dei cinque stabilimenti (tre in Italia, uno Cina, uno negli Usa).

«Vogliamo assumere altre dieci persone, ma non le troviamo - racconta -: servono operai specializzati, montatori meccanici, fresatori, ingegneri elettronici, softwaristi. Non è questione di stipendio: i nostri stipendi sono alti, anche 2.000-2.500 euro netti al mese per un tecnico specializzato, ma questi mestieri non li vuole fare più nessuno e in ogni caso i giovani che accogliamo dagli istituti tecnici in stage non sanno fare niente, perché le ore di apprendistato e di laboratorio tecnico sono state fortemente ridotte, a discapito della preparazione dei ragazzi. Bisogna quanto prima intervenire sulle formule dell’alternanza scuola-lavoro e sugli istituti tecnici».

«Eppure le fabbriche 4.0 sono il posto più divertente dove lavorare adesso: sono hi-tech, insegnano tanto sulle tecnologie e garantiscono ottime prospettive - spiega Massimo Birolo, Global manufacturing director Bonfiglioli, leader dei riduttori -. Il nuovo stabilimento Evo plant, che concentra tutte le attività manifatturiere nel Nord Italia, garantisce formazione tecnica e digitale per tutti di alto livello. Abbiamo tagliato sprechi e costi fissi, non le persone».

Motivi per restare in Italia, comunque, ce ne sono tanti. E i nuovi Competence center appena varati aiuteranno a colmare gli skill gap e a garantire formazione e competenze avanzate. Quello guidato dal Politecnico di Milano, il Made, è in prima fila su questo fronte. “Se arrivano i fondi dal Mise faremo partire i bandi entro l’estate, con co-finanziamenti al 50 per cento per progetti innovativi e con fondi sulla formazione cospicui”, ha detto al Manufacturing Summit il presidente, Marco Taisch.

L’obiettivo è avvicinare non solo le imprese italiane al 4.0, ma anche i giovani.
In una recente intervista al Sole 24 Ore, Gianni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano, ha rilevato che nei prossimi tre anni il manifatturiero italiano prevede di assumere 193mila persone, ma che la selezione sarà “difficile” per l’elevato divario tra le competenze richieste e quelle disponibili. Mancano periti e tecnici superiori: soltanto l’1% degli studenti terziari fa percorsi di formazione professionalizzante, contro il 18% francese e il 34% tedesco. E così la disoccupazione giovanile italiana si attesta oltre il 30%. E il Canada bussa alle porte delle imprese italiane offrendo competenze.

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