TOKYO – C’era una volta un grande gruppo industriale giapponese che voleva cresce all'estero per diventare una vera società globale. In successione piuttosto rapida, acquistò un’azienda americana, una italiana e una tedesca. Senonché, poco dopo l’acquisto e nonostante la due diligence, in una di queste società ebbe l’amara sorpresa di scoprire un pauroso buco nei conti. Così ebbe un danno finanziario superiore al mezzo miliardo di dollari e un danno di immagine e di valorizzazione azionaria in quanto fu estromessa dal nuovo indice della Borsa di Tokyo dedicato alle società con un livello di corporate governance superiore.
In quale delle società era nascosto il bidone? In quella tedesca, naturalmente! Il gruppo giapponese è leader nell’«housing and building equipment», con più di 80mila dipendenti, e si chiama Lixil: è molto soddisfatto di aver acquisito l’italiana Permasteelisa (ora perno della divisione Lixil Building Technology) e l’American Standard Brands; assai meno per aver rilevato due anni fa la tedesca Grohe, piagata dallo scandalo contabile presso la sua affiliata cinese Joyou – allora quotata separatamente alla Borsa di Francoforte! - , di cui la Grant Thornton certificò i conti senza accorgersi di nulla.
È una vicenda che sembra fatta apposta per richiamare i rischi connessi alle acquisizioni: non a caso Lixil, per prevenire sorprese future, ha deciso una serie di misure stringenti per monitorare le affiliate estere, mentre d’ora in poi le acquisizioni straniere saranno divise in sei fasi distinte (compresa una dedicata al «background check» dei dirigenti delle società da acquisire).
Il caso, poi, smentisce luoghi comuni duri a morire: se il buco dei conti fosse stato trovato nella società italiana, molti avrebbero probabilmente pensato: «Ecco, italiani e cinesi erano d’accordo per fregare i giapponesi». Invece non è soltanto il caso dei test truccati alla Volkswagen a intaccare il mito dell’ineccepibilità teutonica.
La cosa più triste della vicenda, sul piano umano, sta nel fatto che la splendida carriera di un brillante top manager si è chiusa su toni assai dimessi. Yoshiaki Fujimori, 64 anni, Ceo di Lixil fino alla settimana scorsa, era stato scelto nel 2011 come il manager più adatto per guidare la trasformazione del gruppo – allora appena nato dalla fusione di cinque diverse società giapponesi – in un player globale. Ne aveva tutti i titoli grazie alla sua lunga e diversificata esperienza alla General Electric (sin da quando aveva 35 anni, fino a diventarne il primo senior vice president giapponese) e l’ha fatto, riorganizzando le attività Lixil in quattro principali settori e accelerando la proiezione estera. Da gran signore, ha difeso i tedeschi accettando la tesi che non sapevano quanto accadesse nella loro filiale cinese benché quotata a Francoforte. E si è assunto la responsabilità, alla giapponese, tagliandosi la paga e finendo per accelerare la sua uscita.
Il suo successore, entrato ufficialmente in carica come Ceo il 15 giugno dopo l'assemblea degli azionisti, è Kinya Seto, 56 anni, già presidente di MonotaRO, società online di servizi per housing e industria. Già prima di assumere formalmente la posizione di leader, da Chief Operating Officer Seto ha annunciato un suo riassetto del gruppo che suona un pò spietato nei confronti di Fujimori e sarà operativo dal primo luglio.
Una ristrutturazione inquadrata «negli sforzi in corso per migliorare la corporate governance, rafforzare la responsabilità dei senior executive e rendere più efficienti i processi decisionali». Lixil Group opererà sotto cinque livelli di executive management: Ceo, Executive Vice President, Senior Managing Director, Managing Director e Corporate Director. Sarà ridotto il numero dei top manager (-54%, a 53 individui in Giappone) e verranno eliminate le posizioni di «Corporate Officer», anche per «creare nuove opportunità per giovani talenti». I membri del nuovo «executive management system» avranno un contratto solo annuale, ovviamente rinnovabile, al fine di promuovere una «cultura di performance più alta». Internal Directors ed Executive Officers avranno una riduzione nella paga-base, per un calo complessivo dei costi per i loro compensi del 25 per cento.
Lo stesso Seto si è annullato per un anno la paga in contanti e riceverà per 12 mesi compensi solo in azioni. Restano in vigore nella loro sostanza i programmi di compensi ai manager legati alla performance sia a breve, sia a lungo (Short Term Incentive e Long Term Incentive). In quest’ultimo caso, il denaro è accantonato ma non versato al manager fino a che l’azienda non raggiunge target predefiniti. Seto ha dichiarato che vuole costruire una Lixil «più snella e più semplice» e sviluppare una più forte cultura «performance-driven»: «La mia stessa intenzione di rinunciare al salario base in cambio di azioni mostra la fiducia che ho in un brillante future di Lixil». Seto, insomma, fa l’americano in Giappone. E l’ex capo proveniente dalla General Electric sembra del tutto dimenticato.
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