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Per i manager «stare sul Web» oggi significa saper dialogare

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L'Analisi|tecnologie e carriere

Per i manager «stare sul Web» oggi significa saper dialogare

Linkedin qualche giorno fa ha toccato il mezzo miliardo di iscritti, di cui dieci milioni in Italia. Un successo straordinario che ha ingolosito Facebook e Google, entrambe pronte a lanciare analoghe piattaforme (Facebook Jobs e Hire) di sviluppo di opportunità professionali e di carriera. Nella percezione comune queste piattaforme sono essenzialmente una «superbacheca digitale» dove è importante “esserci”, avere un profilo aggiornato, una bella foto, un elenco delle proprie esperienze simile a quello che elaboriamo per il nostro CV. Fino a dieci anni fa l’identikit tipo dell’utente Linkedin era quello del dipendente di un’azienda grande e strutturata, laureato, con un’età tra i 30 e i 50 anni. Questo signore utilizzava Linkedin essenzialmente come un canale alternativo “smart” per la ricerca di un nuovo lavoro.

Oggi invece su Linkedin troviamo molto di più: ventenni che non hanno mai lavorato, liberi professionisti e lavoratori autonomi, pensionati, disoccupati, operai, imprenditori, politici persino. Insieme a questa piccola «rivoluzione antropologica» si è arricchito e diversificato l’utilizzo della piattaforma: non solo mercato della domanda e offerta di assunzioni, ma anche luogo di costruzione di comunità professionali, di lobbying e di intelligence (chi fa cosa in quell’organizzazione? che fa nella vita il tipo che mi ha fermato sull’autobus?), di contatto e sviluppo commerciale, luogo di pura visibilità per finalità non direttamente legate alla ricerca di lavoro (non credo che Bill Gates o Emanuel Macron stiano cercando un contratto), luogo di ricerca di informazioni che riguardano la propria carriera, le proprie scelte di studio, il proprio ambito professionale. Insomma, oggi su Linkedin e sulle piattaforme analoghe che si svilupperanno nel mondo Google e nel mondo Facebook non si sta necessariamente per candidarsi ad un posto di lavoro.

Questo fenomeno deve portare ciascuno di noi a guardare in modo diverso il proprio «stare sul web» per motivi professionali. Se fino a qualche tempo fa il concetto di fondo era quello di costruire una «figurina digitale» in modo da entrare nei radar di chi assumeva, oggi il modo migliore per supportare attraverso Internet i propri progetti di carriera è quello di essere protagonisti di un vero dialogo: non mi limito ad una presenza statica negli archivi digitali con il mio bel profilo azzimato, ma attivo un vero dialogo con la mia “fetta” di mondo del lavoro. Si tratta sostanzialmente di cominciare a produrre e condividere contenuti.

In un mondo iperconnesso in cui solitamente il primo link che si trova dopo aver digitato nome e cognome di una persona sulla stringa Google è il proprio profilo Linkedin, avere un profilo Linkedin curato è come avere la camicia pulita. Tuttavia, esattamente come nella vita off-line, una camicia pulita è condizione necessaria, ma non sufficiente per farsi apprezzare: Come la pensi? Cosa ti appassiona? Qual è la tua visione del tuo lavoro? Qual è il tuo «tocco speciale»? Sono queste le domande che «la rete» ci fa, tutti i giorni. E ciascuno di noi, come in un infinito colloquio di lavoro è chiamato a rispondere, creando una «narrazione di sé», esattamente come facciamo, più o meno consapevolmente, durante i colloqui di lavoro.

Dunque dobbiamo tutti diventare produttori di contenuti: articoli, post, immagini, video, presentazioni con cui raccontiamo all’«ecosistema» del nostro settore professionale il nostro approccio al lavoro, i nostri interessi, le nostre esperienze. In questa prospettiva non c'è grande differenza tra Linkedin, Instagram, una pagina Facebook o un blog personale. Ciò che conta è offrire con costanza e coerenza idee, commenti, suggerimenti utili alla comunità di chi vive nel nostro universo professionale.

Qualcuno potrebbe ironizzare amaramente sul fatto che viviamo in un’epoca in cui grazie al web tutti si atteggiano a guru o esperti di qualcosa, coltivando la mitologia del narcisismo, mentre nella realtà guru ed esperti si contano sulle dita di una mano. In effetti non c’è dubbio che Internet abbia scatenato il germe di narcisismo che c’è in ciascuno di noi. Ovunque è un tripudio di foto allo specchio e di selfie. Tutto sommato però meglio mettere in vetrina le nostre idee che il nostro costume da bagno. Meglio raccontare con un articolo o con un video come lavoriamo che condividere la foto di un piatto di carbonara (a meno che non facciamo i cuochi di mestiere) o di una partita di calcetto.

Per quanto riguarda il tema “pseudoguru” invece dobbiamo ragionare con la «coda lunga»: l’espressione «coda lunga» descrive un modello economico e commerciale, tipico della web economy, per cui i ricavi vengono ottenuti non tanto vendendo tante copie di un unico prodotto, ma vendendo poche copie di tantissimi prodotti (è il modello di Amazon). Coda lunga significa sostanzialmente che Internet rende possibile la creazione di un numero enorme, tendenzialmente illimitato di piccole e piccolissime nicchie di interessi. Ciascuno di noi ha un piccolo posto al sole rispetto al quale può definirsi esperto o ambire a diventare tale. Ciascuno di noi può condividere contenuti utili e partecipare al dibattito della sua piccola nicchia di interesse: la nicchia dei controller del settore farmaceutico, la nicchia dei pubblicitari di articoli sportivi, la nicchia degli antiquari della Liguria.

Last but not least la possibilità di raccontare al mondo attraverso le piattaforme digitali il nostro «tocco professionale» ci mette di fronte ad una sfida personale particolarmente significativa: riflettere profondamente e criticamente su di noi, su cosa ci piace davvero, su cosa ci riesce davvero, su cosa ci rende speciali davvero. Una riflessione che ci può aiutare a orientare con più coraggio i nostri progetti di carriera. Insomma «produttori di contenuti professionali» di tutto il mondo unitevi. E andate a evangelizzare il web.

* Managing Partner della società di consulenza e formazione Sparring

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