Nel mondo lavoro del terzo millennio siamo tutti continuamente sul mercato, in vetrina, pronti a rimetterci in gioco e a ricollocarci. La carriera un tempo era un fiume placido che ci “trasportava” attraverso tappe predefinite, oggi è un viaggio avventuroso. Da alcuni anni abbiamo capito che occorre curare il «marketing di noi stessi»: ma spesso, non sapendo da dove cominciare, sbagliamo e ci proponiamo sul mercato in modo confuso.
Una buona strategia di «self marketing» parte dalla necessità di distinguersi. L’etimologia della parola “distinguersi” contiene un’immagine molto significativa: ha una radice greca (dia-stizein), che porta in sé il senso del pungere, del marcare con un oggetto appuntito. È il gesto con cui si isola una parte dal tutto: come quando, nella pagina degli annunci immobiliari, facciamo un segno intorno alla casa che ci interessa. Il cuore del self-marketing sta dunque qui, nella nostra capacità di rispondere alla domanda: «Che cosa mi rende unico, speciale, diverso dagli altri?».
Il mercato contemporaneo delle professionalità è sovraffollato. Se non ci si differenzia dagli altri, le nostre possibilità di essere scelti si limitano alle coincidenze fortunate, troppo rare per consentirci di navigare sereni. Come possiamo rimarcare il nostro essere diversi dagli altri, il nostro essere “speciali”, “unici”? Possiamo utilizzare cinque “chiavi di distinzione”:
1. Settore;
2. Territorio;
3. Tipologia clienti/datori di lavoro;
4. Sensibilità;
5. Stile.
Le prime tre voci non meritano spiegazioni particolari, sono intuitive. La chiave della sensibilità descrive l’orizzonte dei nostri valori e dei nostri orientamenti etici. La chiave dello stile, invece, può descrivere l'orizzonte del nostro gusto estetico, del nostro approccio umano, dei nostri orientamenti tecnici (usiamo o non usiamo un determinato strumento o una determinata tecnica) o infine delle modalità con cui eroghiamo il nostro servizio professionale. Possiamo essere solo un videomaker, ma possiamo essere anche un videomaker specializzato in video pubblicitari (1), che lavora al Centro-Sud (2), per clienti del settore lusso (3), che crede nel valore dell’artigianalità e dell’ecosostenibilità (4) e che predilige l’utilizzo delle vecchie tecnologie di ripresa (5).
Ovviamente non sempre è necessario utilizzare tutte e cinque le «chiavi di distinzione». Tuttavia è importante essere consapevoli che più chiavi di distinzione utilizziamo più il nostro profilo diventa affilato, incisivo, capace di lasciare il segno, di essere percepito come unico. In questo modo nella nostra strategia di self marketing otteniamo contemporaneamente due risultati importanti: da un lato creiamo il nostro «personal brand», rendendoci unici e riconoscibili. Dall’altro ci avviciniamo al nostro target, mettiamo a fuoco l’identità e la numerosità dei nostri potenziali clienti/datori di lavoro. In questo modo possiamo ottimizzare i nostri sforzi promozionali con azioni di self marketing il più possibile mirate (contattiamo direttamente solo chi rientra nel nostro target, utilizzando nel nostro CV e nel nostro profilo Linkedin solo quelle parole chiave coerenti con le nostre chiavi di distinzione).
Il nostro videomaker, dopo aver utilizzato le cinque chiavi distintive, non ha più davanti a sé una platea informe e anonima. Ha implicitamente escluso dal suo campo d’azione quella fetta di mercato a cui ritiene di non poter portare autentico valore aggiunto e si è invece avvicinato a chi può concretamente apprezzare i tratti distintivi della sua professionalità: quelle aziende del Centro-Sud Italia che competono nel segmento del lusso con prodotti artigianali ed ecocompatibili, e vogliono dare di sé un’immagine di eleganza tradizionale. È questa la nicchia di mercato del videomaker, il luogo in cui i suoi sforzi sono valorizzati, la piccola piazza dove conoscere tutti e farsi conoscere da tutti.
Distinguerci è teoricamente semplice. Nei fatti però bisogna muoversi con attenzione. Infatti come tutte le sfide che ci possono far guadagnare molto, anche la sfida «dell’unicità» comporta due rischi non trascurabili. Il primo è che un profilo molto ben connotato e riconoscibile non risponda a una chiara esigenza di mercato. Il secondo è che le chiavi di distinzione non siano coerenti tra di loro: assumeremmo come direttore amministrativo della nostra azienda un candidato che si vende come uomo di numeri «con una sensibilità creativa»? E assumeremmo come direttore del personale della nostra multinazionale un candidato che si presenta come «manager dell’uguaglianza» e capeggia nella vita extraprofessionale un gruppo politico antagonista e no global? Al di là del giudizio sostanziale sulla compatibilità della creatività con il ruolo di direttore amministrativo e delle sensibilità no global con il ruolo di direttore del personale, quello che conta purtroppo nel mondo del self marketing è ciò che il mercato percepisce.
Il realista che è dentro ognuno di noi potrebbe essere tentato dal demone della prudenza e dire: «Nel mondo del lavoro meglio stare allineati e coperti, uniformarsi a ciò che fanno gli altri, non lanciarsi in voli pindarici, sono un informatico, punto e basta». A questo “killer” interiore bisogna ricordare che ingegnarsi per distinguersi dagli altri non è solo una necessità per chi opera in mercati competitivi. È prima di tutto un istinto naturale che conosciamo fin dall’infanzia e di cui sappiamo padroneggiare perfettamente le dinamiche.
Quando arriviamo sul mercato del lavoro abbiamo già fatto le nostre battaglie per distinguerci dai fratellini, dai genitori, dai compagni di scuola. Soprattutto abbiamo combattuto la battaglia più romantica, quella per distinguerci dagli altri corteggiatori/corteggiatrici della persona di cui ci siamo innamorati. Ci siamo posizionati spontaneamente e forse inconsapevolmente in quella nicchia in cui il nostro amato/a poteva vederci splendere del nostro miglior splendore. E abbiamo capito che sedurre significa distinguersi e distinguersi significa sedurre. Nell’universo degli affetti quando ci “smarchiamo” dagli altri assecondiamo un bisogno intimo, quello di inseguire l’illusione dell’insostituibilità: credere che esista qualcuno al mondo che ha delle domande la cui unica possibilità di risposta siamo noi.
Quando costruiamo l’unicità della nostra vetrina professionale attraverso delle chiavi di distinzione trasferiamo sul nostro lavoro i meccanismi che regolano le nostre relazioni affettive. Ci impegniamo in un’attività che ci è connaturata, rispetto alla quale siamo naturalmente bravi e naturalmente appassionati.
* Managing Partner della società di consulenza e formazione Sparring
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