Nel 2015 la Hubbub Fundation ha creato una campagna di sensibilizzazione rivolta ai fumatori londinesi abituati a gettare a terra i mozziconi di sigarette. La campagna ha avuto un enorme successo: partita con l’obiettivo di ridurre del 20% il numero di mozziconi di sigaretta a terra, è riuscita a raggiungere comportamenti virtuosi e a diminuire i mozziconi per strada oltre il 46%. Ha raggiunto questo risultato posizionando in alcuni luoghi strategici, come all’esterno di pub e locali, all’interno di parchi e lungo le strade, dei contenitori trasparenti per i mozziconi, con due distinti basket di raccolta. I contenitori consentivano ai fumatori di votare su vari argomenti inserendo i loro mozziconi di sigaretta in uno dei due basket, in funzione delle loro preferenze: la migliore squadra di calcio: Manchester o Liverpool? Il miglior modo per vivere in coppia: matrimonio o convivenza? La miglior bicicletta: corsa o mountain bike?... e così via).
La campagna di Hubbub è un esempio di gamification: ha utilizzato alcuni elementi del mondo dei giochi (in questo caso un sistema di punteggi, la partecipazione volontaria e attiva, la competizione tra elementi differenti, il risultato o feedback in tempo reale,…) e ha permesso alle persone di cambiare i propri comportamenti senza fatica o grande impegno, ma in modo naturale, all’interno di un processo stimolante. Fare gamification significa infatti questo: utilizzare i meccanismi, le regole e le dinamiche che caratterizzano il mondo del gioco in contesti che con il gioco non hanno nulla a che fare. Lo scopo è di rendere più attrattivo e coinvolgente il tema da affrontare o il comportamento da attivare.
Nata inizialmente come strumento e leva per coinvolgere i clienti finali rispetto ai prodotti e al brand, con i concorsi, le cacce al tesoro, la partecipazione a programmi di fidelizzazione, nel tempo la gamification è entrata a pieno titolo tra le metodologie aziendali per coinvolgere i collaboratori nell'apprendimento di nuovi comportamenti o per creare ingaggio e adesione verso l’azienda. Per noi, che lavoriamo sui comportamenti delle persone, sul loro livello di interesse e voglia di mettersi in gioco nello sviluppo di competenze (ma quante volte compare la parola gioco,.. sembra un gioco di parole!), la gamification è una metodologia davvero importante.
Applicata in alcuni contesti aziendali, è realmente in grado di rendere più interessante e coinvolgente l’apprendimento, di facilitare un cambiamento dei comportamenti in azienda (che sia un nuovo modo di porsi ai clienti o di interpretare i valori aziendali, di prendere le decisioni o di lavorare con il team); di trasmettere e far assimilare nuove prassi; o anche di animare una convention, lasciando un segno sugli argomenti trattati e non presidiando solo l'aspetto ludico. I progetti di gamification hanno anche il grandissimo pregio di costringere chi progetta a semplificare, senza banalizzare, concetti complessi o articolati che, per essere trasformati in un buon gioco, sono da spezzare in micro step di apprendimento.
Come tutte le metodologie nuove, però, anche la gamification sta rischiando di diventare di moda e di trasformarsi nella ricetta che risolve qualsiasi problema. Supportata dallo sviluppo tecnologico degli ultimi 10 anni e dalla facilità con cui possono essere realizzate soluzioni tecniche e app con gadget, gettoni, premi, punti e classifiche, oggi quasi qualsiasi attività che richiede coinvolgimento rischia di essere trasformata in un’occasione di gamification. E come sempre, quando si esagera, si sbaglia. E si rischia di esasperare le persone. Anche i bambini, giocatori per eccellenza, hanno bisogno di momenti di riflessione e di silenzio, o di momenti per rielaborare la realtà che li circonda in modo critico, senza per forza aderire a un meccanismo automatico di stimolo e risposta legato al divertimento.
In un contesto lavorativo, fatto di adulti che affrontano quotidianamente problemi e situazioni non sempre rosee, questo vale ancor di più. È quindi importante darsi delle regole e seguire una metodologia ben precisa per decidere se e come organizzare un progetto di gamification. Tre passi in particolare sono fondamentali:
1. Il gioco, sembra un paradosso, ma è l'ultimo elemento da prendere in considerazione. Il primo passo consiste in un’analisi attenta di ciò che “spinge e frena” i comportamenti virtuosi che ci attendiamo di ottenere. Ascoltare le persone, le loro difficoltà, le loro esigenze e comprendere se è possibile e, soprattutto, se è utile spezzare “spinte e freni” in micro azioni guidate attraverso il gioco, è la via per decidere se proseguire con la gamification. Arrivando a volte anche rinunciare al suo utilizzo, perché non adatta a raggiungere l’obiettivo.
2. Il secondo passo interessa le dinamiche e le modalità di apprendimento delle persone da coinvolgere. Non in assoluto, però, ma rispetto allo specifico tema su cui saranno coinvolte. Qui occorre evitare preconcetti e stereotipi, come pensare che millennials o nativi digitali possono apprendere facilmente tutto attraverso il gioco perché abituati. In taluni casi, metodologie lontane dalla gamification risultano più proficue proprio perchè non usuali per quelle persone su quei contenuti.
3. Il terzo passo riguarda la scelta del tipo di supporto da utilizzare. Oggi gamification e tecnologia sono fortemente integrate e la tecnologia ha portato un grande valore ai progetti di gamification, ma tra le due non può essere la tecnologia a comandare. È il risultato, in termini di ingaggio, apprendimento, cambiamento dei comportamenti che deve guidare la scelta e fare la differenza. Quindi anche qui, in modo libero e creativo, la soluzione tecnica migliore deve essere cercata partendo da ciò che si vuole ottenere e non da cosa può permetterci di fare la tecnologica.
In questo modo potremo sfruttare al massimo i vantaggi che la gamification può dare, senza rischiare di esasperare le persone e di farle sentire costrette a giocare ad ogni costo!
* Partner di bbsette
** Consulente di bbsette
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