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Mettersi in proprio: le 5 domande (e risposte) su cui basare un…

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lavoro e «Piano B»

Mettersi in proprio: le 5 domande (e risposte) su cui basare un progetto

Come abbiamo visto in un mio precedente articolo sulle “false partite IVA” le mille mutazioni tecnologiche economiche e organizzative che la nostra società ha sperimentato rendono oggi il confine tra lavoro autonomo e lavoro dipendente molto più labile. Questo significa che una percentuale significativa dei circa 18 milioni di lavoratori dipendenti prima o poi si metterà in proprio. Nel 2017 circa 360.000 persone fisiche in Italia hanno aperto la partita IVA. La fascia di età in cui il tasso di apertura aumenta più velocemente è quella 51-65. In questa fascia di età nel 2017 lo hanno fatto circa 105.000 persone.

Queste statistiche di per sè non sono interpretabili né positivamente né negativamente, ma ci impongono due riflessioni importanti. La prima è che molte di queste nuove partite IVA “falliscono”. E' difficile quantificare questa dinamica statisticamente per la presenza di tre fenomeni: lavoro sommerso, partite IVA dormienti (formalmente aperte ma non operative), “false” partite IVA. Sappiamo tutti però, per esperienza, che molti progetti di lavoro indipendente naufragano.

La seconda riflessione è che le persone in un paese che vive ancora nella cultura del posto fisso arrivano solitamente a mettersi in proprio in una prospettiva di piano d’emergenza (lo testimonia l’incremento delle aperture nella classe 51-65): Se tutto va male, se perdo il posto e proprio non riesco a trovarne un altro allora attingo ai risparmi di famiglia e mi apro un’attività (magari rilevandone a costo zero una fallita) mi metto a vendere qualcosa online, provo a vendere un qualche servizio/consulenza al network dei miei conoscenti. Questo approccio evidentemente rappresenta nella maggioranza delle situazioni l’anticamera di un fallimento. Come può funzionare un progetto tuo se tu per primo non avresti voluto intraprenderlo, tanto da averlo intrapreso come «ultima spiaggia»?

Per la maggioranza delle persone in Italia la partita IVA oscilla tra il piano di emergenza a cui ricorrere quando non ci sono più alternative per sbarcare il lunario e il sogno nel cassetto, ciò a cui pensiamo istintivamente quando il capo o il datore di lavoro ci fanno arrabbiare. Un sogno nel cassetto, una fantasia consolatoria, qualcosa che guardandoci allo specchio sappiamo non accadrà mai. Eppure i numeri dicono che il lavoro autonomo e indipendente è una prospettiva molto più concreta e vicina di quanto ciascuno di noi possa immaginare.

Per questo è importante cambiare approccio: dal sogno nel cassetto al progetto nel cassetto. Significa che la sfida del mettersi in proprio deve essere coltivata per tempo e non nei momenti di difficoltà. Significa che la fantasia deve tradursi in un piano definito con numeri e tempi. Significa che il nostro piano B imprenditoriale può diventare un magnifico, utile e divertente impegno con noi stessi, a cui dedicare alcune ore libere nella serata o nel week end. Scrivere il progetto del nostro ingresso nel mondo della partita IVA non ci aiuta soltanto a pianificare efficacemente il futuro della nostra carriera e a coltivare interessi e relazioni umane, ma ci consente di allenare i nostri «muscoli imprenditoriali».

Paradossalmente una persona che lavora da dipendente ma che coltiva un progetto di lavoro autonomo svolge meglio il proprio lavoro da dipendente, perché pensare da imprenditore lo avvicina ai bisogni del suo datore di lavoro. Quest’ultimo aspetto ci dice anche che coltivare concretamente un «piano B con partita IVA» non necessariamente prelude ad un effettivo lancio del progetto. Anzi si tratta di un esercizio che rafforza la nostra condizione di dipendenti perché ci rende più orientati al business, più «liberi di testa», meno polemici, più “pimpanti” e creativi.

Cosa significa allora in concreto coltivare il proprio progetto di lavoro autonomo mentre lavoriamo come dipendenti? Significa scrivere e poi tenere aggiornato nel tempo un file word con la risposta a queste 5 domande:

1) Cosa venderò e sulla base di quali asset? Per rispondere occorre identificare una connessione tra ciò che metteremo sul mercato e i nostri asset (risorse per chi non ama gli inglesismi). Cosa sono i nostri asset personali? Sono la combinazione delle nostre competenze, delle nostre esperienze e delle nostre relazioni. In altri termini un buon progetto di lavoro autonomo deve prevedere un solido legame tra il prodotto o servizio che venderemo e le nostre risorse personali. Questo è fondamentale perché chi comprerà si porrà la domanda «Perchè devo comprare proprio da lui?». Mi metterò sul mercato come consulente di sicurezza informatica per piccole imprese solo perché percepisco un bisogno di mercato o perché ho delle esperienze, delle competenze e delle esperienze peculiari nel settore che mi rendono oggettivamente «la persona giusta per il bisogno giusto?».

2) Chi sono i miei potenziali clienti? Chi sogna di mettersi in proprio immagina una tipologia di clienti a cui rivolgersi. Chi scrive un progetto invece apre un file excel e lo riempie con dei nominativi perché sa che il giorno del lancio occorrerà impostare delle attività di marketing mirate. Quindi coltivare il piano B imprenditoriale significa definire il proprio target, significa immaginare a chi indirizzare un volantino, una brochure, un post su Facebook: chi è il mio cliente? Che lavoro fa? Che interessi ha? Dove abita? Sono solo alcune delle domande che ci servono per “avvicinarci” al nostro cliente.

3) Chi sono i miei potenziali soci/partner? Coltivare un progetto di lavoro indipendente significa anche selezionare persone interessanti con cui condividere un piano d'azione e da cui ricevere feedback. L’errore più comune è privilegiare simpatia e fiducia e rivolgersi solo alla rete di amicizie. Il suggerimento più prezioso è invece quello di cercare chi ha competenze, relazioni ed esperienze complementari rispetto alle nostre, chi dunque può integrare e completare le nostre risorse.

4) Quanto tempo intercorrerà tra la apertura della partita iva e la prima fattura emessa? La differenza tra un’idea e un progetto sta nell’indicazione di orizzonti temporali precisi. Definire dei tempi ci aiuta a passare dalla teoria alla pratica, dal “potrei” alla richiesta di preventivi, dal “farò” al “mi metto a scrivere”. Non è importante azzeccare la qualità delle nostre previsioni temporali. Nei fatti cambieremo e aggiorneremo spesso i nostri budget e le nostre scadenze. L’importante è però progettare con un timing scolpito nella testa e dentro un file excel.

5) Come mi posso “allenare”? Intervistando persone che hanno visto naufragare la loro attività di lavoro autonomo mi capita di sentire spesso espressioni come «Facendolo ho capito che non poteva funzionare»; «Facendolo ho capito che non mi piaceva abbastanza»; «Facendolo ho capito che il gioco non valeva la candela». Risposte simili a quelle di un’atleta che non ha fatto abbastanza test di prova, ad un attore che non ha fatto «prove generali». Nel coltivare un progetto di lavoro indipendente quindi è molto importante capire se esiste qualche attività che possiamo svolgere la sera, durante le ferie o nel week end, a titolo gratuito o addirittura pagando, che ci aiuta a maturare un’esperienza concreta simile a quella che stiamo pianificando per il nostro futuro con partita iva. Vietato improvvisare.

* Managing Partner della società di consulenza e formazione Sparring

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