Partiamo da una proiezione, rispondente ai dati di uno studio del World Economic Forum che ha raccolto il parere di top manager e specialisti delle risorse umane di 300 aziende internazionali di ogni settore: entro i prossimi sette anni il potenziale che svilupperanno robot, intelligenza artificiale e automazione industriale sarà di 133 milioni di nuovi posti di lavoro, contro i 75 milioni che andranno in fumo. Il saldo, del tutto positivo, è dunque di 58 milioni di nuove posizioni, ma affinché questo risultato si verifichi sarà indispensabile investire sulla formazione.
Un passaggio obbligato, quello dell’aggiornamento delle competenze, visto e considerato che (secondo le stime del Wef) interesserà più della metà dei dipendenti delle grandi imprese. Il rischio che gli skill attuali risultino per lo più insufficienti per molti lavori del futuro, di cui sono consapevoli tutti (o quasi) i responsabili Hr, è grande e non ha soluzioni alternative alla riqualificazione delle risorse.
La domanda di figure professionali adeguate (non solo nei ruoli chiave dell’azienda ma trasversali a tutta l’organizzazione) legata alla quarta rivoluzione industriale è quindi potenzialmente enorme e risponde a scenari come quello dipinto da uno studio recente di McKinsey («A Future That Works: Automation, Employment, and Productivity») secondo cui il 49% delle attività lavorative a livello globale potrebbe essere automatizzato con l’ausilio della tecnologia entro il 2055. In Italia, in particolare, l’automazione impatterà sul 60% delle mansioni aziendali, con una buona parte dei compiti di questi addetti che sarà eseguito da macchine, e riguarderà da vicino circa la metà dei lavoratori complessivamente attivi, circa 11 milioni di persone.
Se la certezza del posto di lavoro (e di alcuni lavori in modo particolare) verrà inesorabilmente meno, è altrettanto vero (i numeri di cui sopra lo dimostrano) che l’avvento dei robot non deve necessariamente fare paura. La trasformazione digitale, questo il punto chiave, sta cambiando le regole del gioco per tutti ed è quindi “obbligatorio” imparare e sviluppare nuove competenze. Quali? Figure come il machine learning engineer, il data scientist o lo sviluppatore Big Data continueranno a rappresentare una nicchia (seppur sempre più consistente) della forza lavoro impiegata negli anni a venire.
Ai lavoratori moderni si chiederà, più in generale, una serie di requisiti che Cornerstone OnDemand, multinazionale californiana attiva nel campo della formazione e la gestione del capitale umano, e Institute for the Future hanno sintetizzato in una vera e propria guida (denominata Future Skills Map) che suggerisce le conoscenze da possedere per emergere in un ambiente di lavoro caratterizzato da cambiamenti rapidissimi e dalla presenza costante della tecnologia.
Il “personal branding” è la prima delle virtù necessarie. Costruire una presenza online sia all’interno sia all’esterno dell’ambiente di lavoro può dare una grande spinta, anche per far conoscere meglio le proprie competenze. Comprendere l’intelligenza artificiale e la tecnologia del machine learning, capire come questi strumenti lavorano per noi e imparano dai nostri comportamenti, è un altro “task” raccomandato vivamente dagli esperti. Altro consiglio da tener presente è quello di dare vita a un proprio gruppo di persone con le quali si ha qualcosa in comune e si possono condividere idee, interessi ma anche competenze, con un approccio e un atteggiamento aperto.
Osservare un fenomeno complesso e renderlo semplice è un'altra delle skill utili ad affrontare il futuro a livello professionale: saper «unire i puntini», insomma, è un attributo importante per poter pensare oltre l’ovvio e scoprire e raggiungere destinazioni che ancora non si conoscono. Ma per fare questo servono immaginazione, creatività e pazienza. La maturità emotiva, infine, è l’ultima delle raccomandazioni da segnarsi in rosso. Se la tecnologia rivoluziona lo status quo e detta i tempi del lavoro, qualità come l’intelligenza sociale e l’empatia diventano più importanti che mai e vanno abbinate a capacità “proattive” se si vuole restare forti in uno scenario nuovo. Per essere vincenti nella cosiddetta «skill economy» occorre cioè adeguarsi, e senza perdere tempo.
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