Circa sei mesi fa mi è capitato di gestire, insieme a due colleghi, alcuni focus group volti a comprendere quanto le persone si sentissero incluse e rispettate come individui all’interno della propria organizzazione. Molti dei racconti condivisi da uomini e donne differenti per età, genere, etnia, posizione aziendale, stili relazionali ecc. hanno evidenziato problematiche in più direzioni: il mancato bilanciamento tra vita privata e lavorativa, le discriminazioni delle donne che scelgono di diventare madri, la bellezza femminile strumentalizzata per scopi commerciali, la leadership omogenea che rappresenta solo una parte della popolazione aziendale, l’incapacità di gestire le persone con disabilità, la percezione diffusa di essere sottoutilizzati rispetto al potenziale che si vorrebbe esprimere, il percepire un sovraccarico di compiti senza uno scopo chiaro espresso, la mancanza di ringraziamento alla consegna del lavoro richiesto e di coerenza tra il dichiarato dei manager o dell’azienda ed il comportamento manifesto.
Di ritorno a casa ho riflettuto su tre parole: insostenibilità, cultura e linguaggio e mi sono domandata come mai perpetuiamo modelli poco efficaci nonostante le scoperte scientifiche e umanistiche ci offrano una lettura più complessa e veritiera dell’essere umano rispetto al passato. Forse la possibilità di adottare un nuovo paradigma non è ancora abbastanza affascinante per le imprese, dal momento che molte di esse preferiscono la via del depotenziamento umano piuttosto che quella della consapevolezza e della positività.
Avendo gli esseri umani una natura sociale, il nostro cervello ci permette di essere fortemente relazionali nonostante la cultura di riferimento promuova il vantaggio individuale rispetto a quello collettivo. I neuroni specchio, la fisica quantistica e la biologia affermano infatti che siamo tutti interconnessi e proprio la cooperazione ha rappresentato la strategia vincente per la nostra evoluzione. Uomini e donne con legami sociali positivi registrano alti livelli di benessere, perché nel loro corpo si scatenano reazioni biochimiche che rilasciano, per esempio, l’ormone dell'amore (ossitocina), un neurotrasmettitore che ha diverse funzioni tra cui la riduzione dello stress, l’aumento dell’empatia e della fiducia e una maggiore socializzazione. Viceversa, le persone con carenti legami sociali sono più soggette a fenomeni di depressione.
L’evoluzione ha permesso all’essere umano di sviluppare tre cervelli: il cervello rettiliano (più antico), il limbico, e la neocorteccia (più recente). Ad ogni cervello corrispondono bisogni, funzioni e obiettivi differenti. Il primo si preoccupa della nostra sicurezza, il secondo della nostra soddisfazione ed il terzo della connessione con gli altri. Se questi tre cervelli si trovano in conflitto, come ad esempio nel caso di una dieta, l’istinto del cervello rettiliano, che risponde all'imperativo: «divora tutto quello che trovi, adesso!», andrà in contrasto con la volontà della neocorteccia, che tenta invece di rimandare la gratificazione legata al cibo per raggiungere lo scopo prefissato. Cervello rettiliano e neocorteccia si trovano anche a collaborare nel generare motivazione.
Calando queste informazioni in un contesto organizzativo, si scopre come avviene l’influenzamento negativo o positivo tra gli individui. Il bisogno di sicurezza ricercato dal cervello rettiliano è soddisfatto quando l’azienda fornisce alle persone che vi lavorano contratti adeguati e remunerazioni consone alle attività svolte, i carichi di lavoro vengono distribuiti equamente e viene garantito un equilibrio tra sfera privata e lavorativa.
Il sistema limbico ha a che fare con la soddisfazione che, a sua volta, coinvolge le condizioni legate ai fattori di sviluppo professionale e organizzativo, come il senso di realizzazione della persona, lo scopo, i feedback, lo sviluppo di una cultura dell’errore, lo stile di leadership, la gentilezza e la gratitudine. Il bisogno di connessione sociale si lega invece a fattori come la qualità delle relazioni, la fiducia, l’identità di gruppo, il clima di lavoro, la reputazione e la responsabilità sociale dell’azienda.
Poiché siamo esseri relazionali possiamo scegliere consapevolmente se influenzarci negativamente attivando la chimica del cortisolo, dell’adrenalina e della norepinefrina che produrrà risposte impulsive, di attacco, fuga e paralisi generando insoddisfazione, insicurezza e scarse relazioni (modalità reactive) oppure positivamente grazie alla chimica della dopamina, delle endorfine, dell’ossitocina e della serotonina (modalità responsive) capace di generare sicurezza, soddisfazione e molteplici connessioni. A noi la scelta.
* Partner di Newton S.p.A.
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