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Il Califfato conquista Ramadi. E i sunniti chiedono aiuto alle milizie…

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in siria salvati i teosori di palmyra

Il Califfato conquista Ramadi. E i sunniti chiedono aiuto alle milizie sciite

Il Califfato perde colpi in Siria ma si rafforza in Iraq. Fallisce nell’est della Siria, dove l’esercito di Damasco è riuscito a impedire un altro disastro archeologico e gli americani hanno ucciso ieri il responsabile del petrolio dell’Isis, Abu Sayyaf. Ma i terroristi sono da oggi più forti in Iraq: Ramadi, capitale della più grande provincia irachena, è nelle mani dell’Isis. La città che è capoluogo della provincia di Anbar, si trova a 110 chilometri ad ovest di Baghdad, è sotto il pieno controllo del Califfato che ha conquistato anche il comando provinciale delle forze armate. Lo riferisce la televisione panaraba Al Jazeera.

È poco chiaro chi in questo momento comanda, se il Califfo in persona dato per ferito o un gruppo di suoi fedeli, ma è certo che l’avanzata militare del gruppo terroristico continua. L’Isis è nel mirino dell’esercito di Assad in Siria, del governo di Baghdad in Iraq, di raid e operazioni Usa in entrambi i Paesi: tre nemici del Califfato che però fra loro collaborano poco.

In Iraq
Il Califfato oggi vince in Iraq. Che a Ramadi la situazione è seria - scrive Washington Post che cita fonti locali - è confermato dal fatto che il consiglio della provincia sunnita di Anbar ha votato oggi a favore di un intervento delle milizie sciite nei combattimenti, nel tentativo disperato di riconquistare il capoluogo della più grande provincia irachena. I combattenti sciiti sarebbero già pronti ad entrare in azione. Secondo la tv di Stato citata dall'agenzia Ap, anche il premier iracheno ha chiesto alle milizie sciite alleate dell'Iran di tenersi pronte a intervenire.

La battaglia per Ramadi è iniziata nel 2014. Ahmed al-Dulaimi, leadee tribale anti-Isis, ha ammesso oggi al telefono con Reuters che la città è caduta sotto il controllo dello Stato Islamico dopo una feroce battaglia, ed è ora completamente in mano ai jihadisti. Naim al-Aboudi, portavoce di Asaib Ahl al-Haq, milizia sciita appoggiata dall’Iran, ha detto che il gruppo ha l’ordine di combattere per liberare la provincia dallo Stato Islamico. Ha così confermato che i sunniti hanno chiesto aiuto agli sciiti. Il che alla luce del passato e delle grandi divisioni nel Paese fra i due gruppi religiosi in seno all’Islam è abbastanza eclatante.

L'intervento dei volontari delle milizie sciite, chiesto dal consiglio provinciale di Al Anbar, rischia tuttavia di infiammare le tensioni interconfessionali in questa provincia a maggioranza sunnita, dove clan tribali locali nei giorni scorsi avevano chiesto inutilmente al governo di Baghdad di essere armati per partecipare alla difesa di Ramadi. Proprio da una protesta di clan sunniti di Al Anbar, tra il 2013 e il 2014 nei confronti del governo centrale a direzione sciita aveva preso il via la spirale di violenza che ha portato l'Isis ad impadronirsi di gran parte del Nord e dell'Ovest del Paese, grazie all'appoggio di almeno parte della popolazione locale. Le milizie sciite non sono viste di buon occhio da queste parti perché accusate di atrocità anche contro civili sunnita nella riconquista di Tikrit, la città natale di Saddam Hussein .

A Ramadi si sta verificando quanto già visto a Mosul, altra città dell’Iraq, capitale del Nord del Paese presa dal Califfato nell’estate scorsa: migliaia di civili sono stati costretti dai combattimenti ad abbandonare le loro case e si sono messi in marcia verso la capitale Baghdad.

In Siria
L’esercito siriano oggi ha rivendicato la liberazione di Palmyra, e l'uccisione di cinque leader dello Stato Islamico in un attacco nell'est della Siria. Secondo il corrispondente della tv di Stato nella provincia di Deir al-Zor, i cinque sono un saudita, un turco, un giordano, un ceceno e un iracheno. La situazione a Palmyra «è completamente sotto controllo» riferiscono fonti ufficiali di Damasco. L'esercito siriano è riuscito a respingere i miliziani dello Stato islamico fuori da Palmyra (nome in latino dell’italiano Palmira) e le rovine del sito patrimonio dell'Unesco non sono state danneggiate, conferma il direttore delle antichità e dei musei Mamoun Abdulkarim, dopo che l'Osservatorio siriano per i diritti umani aveva annunciato che i jihadisti avevano perso il controllo delle zone settentrionali della città, conquistate sabato. «Oggi abbiamo buone notizie, stiamo molto meglio. Non ci sono danni alle rovine ma questo non significa che non bisogna essere preoccupati» ha spiegato il direttore.

Il governatore provinciale Talal Barazi ha confermato che l'esercito ha ricatturato i quartieri nord della città, che avevano conquistato ieri. «L'attacco dell'Isis - ha detto - è stato sventato». Comunque si stanno cercando eventuali bombe per le strade. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani ci sono ancora schermaglie sporadiche, ma l'esercito ha ripreso il controllo. I jihadisti, che si sono segnalati nei mesi scorsi anche per aver distrutto siti archeologici, erano arrivati a solo un chilometro dai resti di Palmyra.

A Palmyra si contano 295 le vittime in quattro giorni di battaglia nei sobborghi limitrofi documentate dall'Osservatorio nazionale siriano (Ondus). Tra gli uccisi vi sono 123 soldati e lealisti siriani, 115 miliziani dell'Isis e 57 civili.

In questo grande caos siriano-iracheno pare vi sia un’altra questione all’ordine del giorno, cioè la sorte del presidente Assad, già accusato di gravi delitti contro civili siriani. Il quotidiano inglese The Times, sostiene che Stati Uniti e Russia hanno iniziato a discutere di come preparare e gestire il post Assad, preso atto che le forze ostili al leader alleato di Putin e dell’Iran, stanno conquistando terreno ed il regime è nella situazione peggiore dall'inizio del conflitto cioè a metà marzo 2011.

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