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Il G-20 e l'illusione di fare da soli

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L'ANALISI

Il G-20 e l'illusione di fare da soli

È normale che, quarantott'ore dopo gli attentati di Parigi, il mondo si aspetti una risposta dal G-20. Ad Antalya sono riunite le potenze tradizionali, i “grandi” di una volta, e i maggiori Paesi emergenti. Il G-20 si chiude oggi: vedremo quale sarà la qualità di questa risposta, al di là delle parole. I risultati dell'incontro di Vienna fra i ministri degli Esteri offrono uno spiraglio di ottimismo, ma non bastano.

Dopo l'11 settembre, la risposta militare fu “muscolare”, diceva ieri nella località turca John Kirton, un “G-20 watcher” di lunga data e poche ore dopo cominciavano bombardamenti francesi. Un segnale che la storia si ripete. L'altra risposta, che deve ancora venire, fu quella economica, altrettanto vigorosa: iniezioni di liquidità e fiducia ai mercati, che consentirono di assorbire l'evento, per quanto tragico, come un semplice sussulto.

È possibile che l'una e l'altra abbiano creato i presupposti per successive crisi, compresa quella attuale. Ma mostrarono il fronte compatto dell'Occidente. Il primo problema di oggi è che ad Antalya non è riunito l'Occidente. Non c'è un gruppo coeso, ma un'aggregazione in cui non è chiaro come siano schierate, e in difesa di quali interessi, la Turchia di Recep Erdogan, che pure, come presidente di turno, dovrebbe essere il primo portavoce di questa risposta, la Russia di Vladimir Putin, che ha mostrato ampiamente la volontà di calpestare le regole della comunità internazionale quando gli conviene, l'Arabia Saudita. Parigi dimostra però che non è più tempo di ambiguità, che l'illusione di poter procedere in ordine sparso senza conseguenze è, appunto, un'illusione.

Il discorso vale per l'antiterrorismo, ma anche per l'economia. «C'è un forte legame fra economia e sicurezza», ha detto ieri Erdogan, aprendo i lavori. La crescita globale è già in rallentamento, basta una spallata per farla deragliare. In un quadro in cui l'investimento (una delle tre “i” della presidenza turca, con inclusione e implementazione) è nei fatti il grande assente, la ripresa è stata sostenuta dai consumi, negli Stati Uniti e ora anche in Europa. Se l'11 settembre, dice ancora Kirton, fu un attacco alle icone del capitalismo, le torri gemelle e Wall Street, questo è un attacco al cittadino comune, che rischia di avere effetti molto più diffusi. È difficile pensare che la fiducia dei consumatori, ancor più di quella dei mercati, esca indenne da attentati come quelli di Parigi.

Diventa allora cruciale che ad Antalya il G-20 - quasi esaurite le cartucce della politica monetaria, limitato dal debito o dall'ideologia il margine di manovra fiscale - si muova unito dove può. Pubblico e privato devono allearsi per dare una spinta, non solo a parole, agli investimenti: non è certo la liquidità globale che manca. Le sbandierate riforme strutturali, puntigliosamente elencate a Brisbane un anno fa, devono essere realizzate (il G-20 ammette oggi che meno della metà è passata, in questi dodici mesi, dal comunicato all'implementazione). Finalmente dev'essere sbloccato l'inceppato motore del commercio, dove spesso è il G-20 stesso ad alzare le barriere protezioniste: la sola attuazione del Trade Facilitation Agreement, già concordato, metterebbe in circolo scambi commerciali per 3mila miliardi di dollari, secondo stime del Peterson Institute. La lotta alla povertà e alle disuguaglianze, l'inclusione nella prosperità, è l'altra strada maestra indicata dal G-20, anche per sottrarre motivazioni all'estremismo, ma non è certo un percorso breve.

Ancora una volta il G-20 insisterà sulla lotta a ogni forma di finanziamento del terrorismo, tema sul quale risposta militare ed economica si intrecciano. Lo scambio d'informazioni, la trasparenza dei flussi di denaro, le sanzioni finanziarie hanno fatto progressi: evidentemente non abbastanza. Anche perché l'Isis ha trovato nel frattempo una nuova fonte di approvvigionamento dal petrolio delle zone conquistate nell'Iraq settentrionale, un altro canale di finanziamento che per essere tagliato richiede collaborazione internazionale. L'omissione di questo tema al summit dell'anno scorso in Australia può esser stato un segnale pericoloso che si era abbassata momentaneamente la guardia, un vantaggio che ai terroristi non si può concedere.

La rivelazione che uno degli attentatori di Parigi era entrato in Europa con un falso passaporto siriano complica la soluzione dell'altro nodo dove si intrecciano antiterrorismo ed economia, quello dei rifugiati, che già si era acceso nelle ultime settimane con il gonfiarsi dell'ondata migratoria. Un'ondata della quale, nel lungo termine, l'economia può beneficiare, soprattutto in Europa, ma la cui gestione, come Parigi indica, richiederà un raddoppio degli sforzi.

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